Pubblichiamo oggi un estratto da Racconti di Juarez del Sud di Luca Mignola, edito da Wojtek edizioni. Ringraziamo autore ed editore.
La zona in trasparenza[1]
Il Gobbo entrò nel bar della stazione di Juarez del Sud. Era ancora notte. La televisione accesa sul televideo con le sue lettere gialle e verdi, grosse come scaglie di dinosauro. Vide l’esecutore (Subordinato di livello A del Centro per l’Impiego)avvicinarsi al bancone. Il barista era il solito cane (Subordinato di livello B del Centro per l’Impiego). Che prendi?, gli avrebbe chiesto il cane. Caffè, avrebbe risposto.
Conosceva lo stato mentale dell’esecutore, dovuto alle controindicazioni del farmaco Mnemo-1000, che di lì a poco lo avrebbe aiutato a dimenticare.
La voce dell’altoparlante della stazione annunciò il loro treno – ETR LOOP-253prototipo della Ludwig&Emmett Corp., Reparto Ricerca e Ristrutturazione (RRR), affiliata alla Windmill Ltd. – e in quel momento gli sembrò di sentire la voce della madre e della sorella, ma subito coperte dal consulente del Centro per l’Impiego: «Dov’è tua madre?». «Morta». «E tua sorella?». «Morta». «Laggiù?». «No, quassù». «Sei stato tu?». «Sì».
Quando il Gobbo arrivò sulla banchina, l’esecutore stava già fumando. Devo smettere, lo sentì imprecare. Sì, però una soltanto per benedire il caffè, si blandiva. La nicotina che stordisce al primo tiro, poi svanisce. Sento già il desiderio di un’altra sigaretta.
«È così che funziona, se vuoi diventare un esecutore. Chiaro?». «Certo. Non ho nessun problema ad ammazzare, mi riesce facile». E quel pensiero: Sei stato tu? Sì. Il consulente del Centro per l’Impiego mi allunga una sigaretta da un pacchetto giallo e marrone, scuotendolo per fare uscire il filtro. Poi mi consegna un blocchetto di fogli, una penna e il mio primo flacone di Mnemo-1000. «Annota le due nozioni di base: totale asservimento; dimenticanza», mi ingiunge, per poi dilungarsi sugli effetti del farmaco: «La formula del farmaco è ancora sperimentale. È probabile che ci vorrà ancora del tempo perché sia perfettamente funzionale. Lo Mnemo-1000 agisce sul controllo della memoria. Non ricorderai più ciò che vuoi. Sarà il farmaco, ovvero noi del Centro per l’Impiego che agiamo attraverso di esso, a dettarti i ricordi». Cambia discorso: «Lo sforzo di ingresso e uscita dalla zona in trasparenza sarà doloroso. È in sperimentazione un altro farmaco, un siero per iniezione sottocutanea, una vaccinazione contro il dolore dell’attraversamento». «Che cosa vedrò?». «Le tue menzogne. Sentirai voci irriconoscibili, cui darai nomi familiari. Pensa questo: d’ora in avanti esisterai soltanto nella zona in trasparenza cui dovrai fare ritorno ogni volta, e per ogni ritorno avrai perso qualcuno dei ricordi, sarai sempre più solo, sempre più disperato e insieme ancora più deciso a restare, a lottare per tutto ciò che hai perso. Sei pronto?». «Sì».
Un’altra sigaretta non mi farà male, si convinse.
Le porte, i freni, i carrelli delle ruote, persino i denti del cane seduto di fronte a lui stridettero. L’ETR LOOP-253 partì con lentezza.
Il Gobbo si sedette due file più indietro, da lì lo avrebbe sentito mormorare. Se questo cane fosse qui per uccidermi, l’esecutore avrebbe scherzato a mezza voce e con un leggero ammiccamento automatico. Siete tutti uguali, per questo i consulenti del Centro per l’Impiego si servono di voi ovunque. Il cane avrebbe alzato la testa scrutandolo interrogativo. Lascia perdere, avrebbe detto. «Che cosa?», gli rispose una vecchia grassa, seduta al posto del cane, compressa in un tailleur blu, i capelli biondi acconciati in uno chignon tenuto su da una spilla. «Non parlavo con lei», rispose l’esecutore infastidito, «parlo con questo cane». La vecchia, squadrandolo con disgusto, dopo avergli comunicato la sua muta diagnosi, cambiò posto, l’esecutore rimase solo. Il Gobbo, dal suo posto d’élite, rise quasi fino alle lacrime.
Nelle altre stazioni – per lo più banchine e binari isolati, cartelli con nomi in bianco su sfondo verde, di cui era impossibile distinguere i caratteri a meno che il treno non sostasse – a volte si potevano scorgere uomini con palette che segnalavano l’urgenza di effettuare una fermata istantanea. Questi uomini vestivano divise nere, indossavano cappelli con la tesa rigida e corta, che copriva gli occhi, il segno della Windmill Ltd. sul braccio sinistro: una W rossa contornata di bianco. La sola cosa che potesse fare l’esecutore era contare le stazioni, non essendo in grado memorizzare i nomi dei luoghi che stava attraversando e che avrebbe attraversato, di nuovo, il giorno dopo e quello dopo ancora.
Nella zona in trasparenza qualsiasi cosa è oltre. Oltre la soglia dell’immaginazione, oltre la luce naturale. L’uomo, conosciuto come il Gobbo, portavoce speciale dell’Apparato di Ricerca e Defenestrazione, W sul braccio sinistro, istruisce i nuovi, inesperti nonostante i corsi di abilitazione, le file chilometriche agli sportelli dell’anagrafe di Juarez del Sud, i piani diacronici per l’impiego. Il suo motto è: o la morte verticale o l’oblio della morte obliqua. Pronuncia questa formula con un’enfasi particolare, quel serpente gobbo. Mi sorride all’inizio, poi di colpo torna serio. Apre una porta di plexiglass bianco, isolata dall’esterno per mezzo di strisce di gomma siliconata. Oltrepassiamo in silenzio un giardino di sicomori. «Il giardino di sicomori è lo stadio intermedio», mi dice, «qui il gregge pascola». Fa una pausa, mi scruta, evito di ricambiare lo sguardo. «Intendo dire: lo stadio intermedio per gli esecutori colpevoli di qualsiasi insubordinazione e anche dei colpevoli di ogni specie, prima che vengano condotti là dentro», e mi indica una porta di plexiglas identica a quella da cui siamo appena passati. «Se ti risvegliassi in questo giardino, dopo tutto ciò che hai fatto nella zona in trasparenza, significherebbe che ti abbiamo accusato di tradimento e ti impiccheremmo». Fa un’altra pausa, un po’ più lunga dell’altra, quasi ghigna prima di riprendere a parlare. «La Legge è disciplina di ripetizione. Non credere che l’abitudine sia tanto diversa dall’istinto».
Alla settima stazione l’ETR LOOP-253 si fermò e ripartì in brevissimo tempo. L’esecutore riuscì a leggere un cartellone pubblicitario della Windmill Ltd., che gli piantò in faccia il suo slogan per il rilascio della serotonina: GRANDE CITTÀ, GRANDI SPERANZE. Ma l’esecutore distolse lo sguardo.
Questa sosta poteva significare una sola cosa, pensò il Gobbo, e la presenza di due donne, che di lì a pochi istanti gli sarebbero passate di fianco, lo avrebbe confermato. Una stava parlando in quella lingua grezza, che aveva sentito soltanto alla foce del Sarno tra i rifiutati, in quei canali di scolo dove si spaccia l’acqua e si fugge, si spaccia il cibo e si muore, si spaccia l’aria e infine ci si arrende e si torna in città. La donna che parlava gli parve ciò che tecnicamente si definisce accompagnatrice (Subordinato di livello C del Centro per l’Impego), soggetto non interessante per la pulizia, cui è concesso di vivere in città e nel 93% dei casi non è stato marchiato. In questa riconobbe la moglie dell’architetto Helmut Köhl.
La moglie di Helmut Köhl si sedette di fronte all’esecutore. «Il lavoro prima di tutto». E quel pensiero: Sei stato tu? Sì. L’altra donna sembrava che non fosse neanche presente. La signora Köhl avrebbe fatto un cenno con gli occhi all’esecutore, sbattendo le palpebre due volte. L’esecutore avrebbe risposto allo stesso modo. E, come l’esecutore, neanche il Gobbo avrebbe potuto sottrarsi a quel dialogo fittizio tra le due donne.
L’accompagnatrice avrebbe detto qualcosa come: E Helmut in groppa al ramo che ride, dando l’impressione di continuare un discorso interrotto.
Ebleh…, avrebbe fatto in risposta l’altra, biascicando.
Che potevo fare?, avrebbe insistito l’accompagnatrice. L’ho tirato giù con l’inganno, come ho fatto con l’altro, te lo ricordi? Il mio macaco ammaestrato, lo chiamavo. Gli diedi un chilo di cerase fresche, sciacquate e imbevute nel Pasaden. Stava una bellezza.
Ebleh…
Mi sento a pezzi, avrebbe pensato l’esecutore quando il dialogo avesse avuto termine. E adesso dovrò muovermi là dentro, in quella specie di limbo di cui non si deve parlare, e poi fare quelle cose: asservire e dimenticare. Sei stato tu? Sì. La signora Köhl, infatti, com’era venuta, se ne andò. Il suo lavoro era finito. A quel punto era rimasta solo l’altra. Questa donna apparteneva al Gruppo H.
«Il Gruppo Htenta di minare il Centro per l’Impiego, infiltrandosi all’interno della Windmill Ltd.», si accende d’ira il Gobbo soltanto a nominare il Gruppo H. Subito però cambia espressione, sogghigna: «È frequente che qualcuno di loro si faccia incastrare durante l’attività di sabotaggio. Esiste da poco più di due anni, da quando a Juarez del Sud è stato stabilito l’Anno della Transizione e gli esecutori hanno intensificato la pulizia. Il Gruppo Hha intrapreso azioni di guerriglia urbana sotterranea, colpendo il Centro per l’Impiego, spingendosi in tre occasioni fino alla Windmill Ltd. e in una sola occasione alla Torre Nord, che è in fase di innalzamento». Gli credo, prima di essere assaltato da quel pensiero: Sei stato tu? Sì, che prevarica la Legge stessa.
Il Gobbo seguiva ogni cosa dal suo posto. La donna Hfece allora quel gesto che le avevano insegnato gli infermieri della Clinica Salieri: si passò la mano sinistra tra i capelli mostrando la sua magnifica lobotomia temporale.
«Nel suo lavoro si appoggerà alla Clinica Salieri, dell’esimio dottore omonimo, che però è soltanto una nostra copertura», mi comunica il consulente del Centro per l’Impiego. «La Clinica ha lo scopo di creare grandi speranze in quegli omuncoli e negli altri esseri che strisciano là fuori e sotto». Mi fissa il consulente, mi offre un’altra delle sue croccanti sigarette. Il momento è solenne: «Chiunque si infiammi per la loro causa, sarà passato ai ferri. Tu sarai uno dei ferri». E ancora mi guarda per notare se in me si mostra anche il minimo cenno di cedimento. Poi passa a illustrarmi il metodo utilizzato prima della sperimentazione cui avevo deciso di prendere parte: «Molti tra noi – lo dico pro forma – credettero che la lobotomia, questo residuo di medicina romantica, avrebbe risolto il problema delle fughe dei rifugiati, asservendoli e manipolandoli, ma non fece altro che ritardare il processo di pulizia. Da allora ce ne siamo serviti per marchiare i morituri. Un vezzo artistico, diciamo».
Il Gobbo fremeva nell’attesa del suo momento preferito, quando la donna Havrebbe biascicato: Là fuori non hanno pietà. Là sotto non hanno pietà, raccogliendo tutte le sue forze per pronunciare dignitosamente il mea culpa. Questa parte lo emozionava sempre, poiché l’esecutore avrebbe risposto: Non vedo dove sia la differenza tra fuori e sotto, e lui avrebbe ripetuto in silenzio, sintagma dopo sintagma, muovendo le labbra, le congetture del puro esecutore: Esiste la possibilità di una deriva dell’abitudine. Come agisce, dunque, l’abitudine? Essa è invisibile, inaudibile. Nel complesso è una difesa, ma anche un pericolo. Per arrivare poi, quasi in lacrime, alla confessione: Uno come me prende di mira la vittima. La segue, le si avvicina, ma subito le si allontana. La annusa, la sfiora. Infine, dimentica.
La donna Hnon avrebbe fatto caso a quelle parole e avrebbe eseguito in silenzio l’ultima cosa in grado di fare, come un automa: passarsi la mano destra sulla coscia, prima col palmo, poi col dorso e, tenendola in quella posizione, avrebbe stretto il pugno due volte, per mostrare le vene sottili, la pelle chiara, le ossa tornite e i muscoli che si allacciavano per i tendini, offrendosi all’esecutore, che le avrebbe afferrato il polso con decisione, estratto il coltello e inciso lungo l’avambraccio.
Il Gobbo si sarebbe fermato a guardarla, mentre si spegneva. L’esecutore sarebbe tornato a fissare lo sguardo fuori dal finestrino tentando di perdersi nella realtà, che allora era fatta di strisce di luce e di quel pensiero: Sei stato tu? Sì.
Alla stazione di Juarez del Sud l’ETR LOOP-253 arrivò al binario 3. Una volta fuori dal treno, l’esecutore tossì. Sputò acido. Il Gobbo scese dalla testa del treno, senza che l’altro potesse vederlo. Non l’avrebbe sentito lamentarsi, come sempre gli accadeva: devo smettere, avrei dovuto già farlo. E accendendosi un’altra sigaretta: l’ultima, prometto.
Stanco come dopo ogni eliminazione, stanco di non poter conservare memoria dei suoi crimini e atterrito dal pensiero del tradimento, l’esecutore si sedette su una panchina di marmo bianco. La pietra era fredda e gli aveva ricordato la morte. Gli sembrò di nuovo che la madre e la sorella gli parlassero, fuse nella voce dell’altoparlante della stazione. Sui binari la gente iniziò ad aumentare e a lamentarsi, e poco a poco come bolo veniva inghiottita nel ventre di uno qualsiasi degli ETR LOOP-253.
Tirò fuori dalla tasca anteriore dei pantaloni il flacone di Mnemo-1000 e ingoiò la pillola, lo avrebbe aiutato a dimenticare.
L’esecutore spense la sigaretta sotto la suola della scarpa. Uscì dalla stazione.
L’aria era fredda, forse sarebbe piovuto.
Iniziò ad avvertire gli effetti dello Mnemo-1000: spossatezza, nausea e un’altra leggerissima vertigine, parentetica e di passaggio, «cui segue un peculiare tipo di galleggiamento per circa un’ora; poi ciò che viene definito dislocamento spazio-temporale, che ingenera ogni volta la stessa visione che il soggetto ritiene rincuorante, che sostituisce l’orrore dell’attraversamento o il disprezzo per il proprio lavoro», mi dice il consulente.
Arrivato all’ingresso del dormitorio dell’Apparato di Ricerca e Defenestrazione, trovò il Gobbo ad accoglierlo. «La procedura», gli disse mentre lo accompagnava nella sua stanza, «non ha inizio né fine per quelli come te. Il mio consiglio è fare lunghe passeggiate, camminare fino a torcersi dalla stanchezza durante le pause tra una cancellazione e l’altra». Fece una pausa, l’esecutore entrò nella sua stanza, dove alcuni dormivano, mentre altri si preparavano a uscire durante il loro turno di lavoro, il Gobbo lo accompagnò con lo sguardo.
Se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.
[1]Il cervello ha il compito di pervenire alla conoscenza della zona in trasparenza ma, nello svolgimento di questo compito, incontra un ostacolo, il fatto cioè che, per conseguire tale conoscenza, deve estrarre informazioni sugli aspetti essenziali, costanti del nostro universo visivo a partire da una massa di dati in continuo cambiamento. La funzione dell’artificio della zona in trasparenza consiste dunque nella ricerca di costanti, e in questo senso va considerata come un’estensione della principale funzione svolta dal cervello: acquisire conoscenza in un mondo in continuo mutamento, per sabotarlo (Zanil Sekki, “La visione dall’occhiello” in Nilo, cap. 11, par. 101).
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