Sono da poco cominciate le riprese di Trainspotting 2, sequel del film di culto di cui è ricorso da poco il ventennale, che dovrebbe uscire nelle sale nel corso del 2017. La nuova pellicola manterrà cast originale e regia (Danny Boyle) oltre alla supervisione di Irvine Welsh, autore del romanzo Trainspotting a cui è ispirato il primo film. Porno, invece, sarà la base del sequel che si svolge a distanza di dieci anni rispetto al primo libro della serie, recentemente arricchita dagli episodi di Skagboys (prequel di Trainspotting) e dalle avventure di Frank Begbie in The Blade Artist. L’opera dello scrittore scozzese ha raccontato una generazione deviata e una società inadeguata attraverso pagine ricolme di disperazione, crudeltà e sofferenza coniugando il tutto a un nichilismo sardonico dalle tinte nere.
Le trasposizioni cinematografiche dei lavori di Welsh, a parte Trainspotting, non hanno avuto grande successo in Italia. Probabilmente ciò è dipeso dal fatto che non sono state distribuite nelle sale. Non c’è traccia, a parte sul versante home video, del film ispirato all’omonima raccolta di racconti The Acid House (Guanda) né di Irvine Welsh’s Ecstasy basato sul terzo racconto (Undefeated o Gli invitti nella traduzione di Mario Biondi per Guanda ) della raccolta di tre novellas Ecstasy. L’altro tassello mancante dei lavori di Welsh adattati per il cinema è Filth di Jon S.Baird, film del 2013 basato sul romanzo Il Lercio, pubblicato in Italia sempre da Guanda e tradotto al solito in maniera ineccepibile dal bravissimo Massimo Bocchiola. In quest’ultimo caso la miopia del mercato italiano pare ancora più evidente trattandosi di una pellicola da catalogare tra gli imperdibili degli ultimi anni.
La storia parla della vita e della carriera del sergente di polizia Bruce Robertson, in una cupissima Edimburgo costantemente bagnata dalla pioggia e slavata dall’alcol, che distorce le menti e trascina i corpi in un teatro delirante di perversioni. Robbo, come lo chiamano affettuosamente i colleghi, è una deviazione della società: è corrotto, cinico, conservatore, violento, privo di qualsiasi senso etico o morale e vittima di dipendenze da droga e alcol. Ma è anche un tutore della legge che dovrebbe far rispettare quelle regole che lui per primo infrange in continuazione. Tuttavia l’apparenza è quella di un uomo sicuro di sé destinato al successo. Un uomo ostinato a salire la scala sociale per rimediare a un’infanzia disastrosa vissuta nel rancore, nella povertà, nella solitudine e condita da traumi indelebili. Il film non segue pedissequamente la trama del romanzo, ma riesce a raccoglierne in modo sorprendente il ritmo furioso e il clima di disperazione.
Il ghigno di sicurezza ostentata e di montante perdizione dell’attore protagonista, James McAvoy, è forse uno dei più riusciti degli ultimi anni. In quel volto consumato da sensi di colpa, perversioni sessuali e droghe si ritrova tutta l’umanità di un personaggio socialmente detestabile e intimamente fragile. Tuttavia, come nel romanzo, anche nel film la personalità instabile di Robbo mantiene un inaspettato equilibrio agli occhi dello spettatore. Il che non è affatto scontato dal momento che l’orizzontalità della vicenda (al servizio della trama) viene improvvisamente soppiantata dalla verticalità del personaggio. Pare quasi che la profondità buia dell’anima di Robbo risucchi il plot per lasciare spazio alle allucinazioni crescenti del protagonista. In questo meccanismo elastico non c’è spazio per suscitare nello spettatore un sentimento di conforto e familiarità. Eppure, una volta passata in giudicato la sentenza di condanna degli atteggiamenti di Robbo, non si può fare a meno di scorgervi una coerenza di fondo. D’altra parte «same rules apply» è il motto di Bruce Robertson: un mantra che guida i suoi tentativi di sopraffazione dell’Altro ma che allo stesso tempo è costretto ad applicare su se stesso con risultati autodistruttivi.
È quindi l’univocità di un personaggio dalla soggettività multipolare la vera forza di Il Lercio di Welsh e di Baird. Un’operazione non nuova in letteratura e già riuscita in modo sublime a diversi maestri come Guy de Maupassant con il suo Georges Duroy di Bel Ami. In questo caso rimane intatta la volontà di riscatto sociale verso un’arrampicata senza scrupoli che calpesta chiunque si frapponga tra il protagonista e il suo obiettivo. Ma l’analogia sta soprattutto nella multi-dimensionalità di un personaggio capace di appiattirsi soltanto sulla brama di potere, in fin dei conti impossibile da appagare del tutto. Georges è un consumatore di donne, Robbo un consumatore di droghe ma entrambi mentono e feriscono e trafficano in sentimenti, in primis i propri. Non possiedono quel senso del limite razionale che dovrebbe arginare le pulsioni di eccesso fino alla morte. Quel confine che il Frank di Richard Yates in Revolutionary Road scopre suo malgrado (e che rifiuta in cambio del successo), giorno dopo giorno, nel deterioramento del suo rapporto con la moglie. Ma come reagisce Frank? Sceglie una corsa cieca versa il nulla? No, cuce su se stesso e sul rapporto con April (la moglie appunto) una serie di frottole ragionate e petulanti. Qualcosa di cui, mentendo a se stesso, si è convinto tanto tempo prima.
Robbo, Georges e Frank sono veri terrestri, emotivi e gracili oppure tirannici. Tutti e tre arroccati su confuse velleità di carriera che li sospingono quasi in modo inerziale verso i meandri del subdolo e dell’inganno. Adoperano codici che giustifichino il disordine dei propri disegni ai loro occhi allucinati, ma che sono il sintomo del problema. Robbo aspira a spazzare via la concorrenza dei colleghi e diventare ispettore applicando le stesse regole; Frank cerca di sentirsi quel manager stimato che il padre non è mai stato imbonendo i propri interlocutori con l’intercalare Vecchio mio; Georges si è conquistato sul terreno della bella presenza e della parlantina il soprannome di Bel Ami che sfrutta per fare carriera nel giornalismo. Ognuno di loro cerca di colmare una voragine esistenziale sproporzionata rispetto alle proprie capacità. Un buco nero che attrae materia grigia e ingurgita gli affetti. La reazione a ogni tappa di questo avanzamento fallimentare è sempre l’allontanamento. La distanza dagli altri preserva e compatisce e poi distrugge quando è troppo tardi per ricominciare. Così April è straziata dal distacco borghese di Frank e si vendica nel modo più terribile. Chrissie denigra Robbo sull’aspetto sessuale che è il suo vero punto debole. Mentre Georges, prima corrompe Madeleiene, e poi viene divorato dalla gelosia.
I tre personaggi hanno negoziato un patto immutabile tra se stessi e il mondo che non sono più in grado di modificare: soverchiare l’Altro in cambio di una promessa fallace di completezza dell’Io. Le loro personalità ne vengono schiacciate e attratte in continuazione prendendo forme multiple, ma ciò che li rende unici e mostruosi è la brama, l’irrazionalità egocentrica e l’insensatezza dell’umano.
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