JRR Tolkien una volta affermò: «Ancora mi chiedo se verremo messi nelle canzoni o nei racconti». Il mantra di Luca Ricci è proprio questo, inserire nella sua nuova raccolta di racconti quattordici scrittori o aspiranti tali. Si tratta di quattordici istantanee in cui viene messo a nudo un universo di loschi figuri che nuotano in un oceano di lettere con disinvoltura e allo stesso tempo con estremo disagio. Ma soprattutto I Difetti fondamentali (Rizzoli) è in grado di rimanere in equilibrio tra intrattenimento e un’idea più sofisticata di letteratura, due anime che convivono in modo costruttivo sulla pagina dell’autore pisano.
Questi scrittori, ben lontani dalla maestosa figura di Tolkien, sono alle prese con redenzioni, ossessioni, amori, drammi, insicurezze, alcuni addirittura con metamorfosi fisiche; questi sono i difetti fondamentali di Luca Ricci, i difetti dei suoi protagonisti raccontati in atteggiamenti così maniacali da renderli inconcludenti, ma talmente disinibiti da credere di essere capaci di fare qualsiasi cosa. Figure eccentriche che si portano all’esasperazione mentale e fisica, proprio perché l’involucro letterario permette loro di farlo, di essere viziose, molte volte mostruose, ma senza perdere una precisa logica che ne guida le azioni secondo uno schema coerente nella sua assurdità, e in fin dei conti affascinante. I protagonisti dei Difetti fondamentali, ognuno di loro etichettato già dal titolo, si muovono attraverso grandi città, redazioni di giornali, isole del sesso, campus universitari, portando sulla schiena il macigno del ruolo che li affligge o il desiderio di emergere. Individui quasi costretti a creare a ogni costo qualcosa di artistico, obbligati ad apparire, a riaffermarsi o addirittura a sparire, come nel caso del protagonista dello scomparso, ossia il famoso scrittore Xavier Bellini che finge di essersi tolto la vita per sfuggire a una recensione negativa. Immagini nitide di personaggi al limite, chiusi in un fermo professionale che li porta a prendere decisioni drastiche, a vivisezionare la propria vita e il proprio lavoro, oppure ad accettare quella realtà che li stringe in un angolo e li soffoca rendendoli nudi agli occhi di chi li osserva.
«Anche gli scrittori hanno bisogno di calore e di sentire il sangue di un altro circolare da vicino.»
È proprio per questa fragile umanità che, nonostante l’iniziale repulsione dettata dal loro malessere, i protagonisti di Luca Ricci diventano così palpabili da far affezionare il lettore, spinto da un solido istinto di solidarietà e sospinto da un’ironia sferzante.
L’autore muove le trame di quattordici vizi capitali evidenziando le abitudini deviate di scrittori avviati lungo un sentiero di perdizione. Sono cronache di reietti, congegnate a partire da un corollario umano dalle sfaccettature variegate con conseguenze al limite del grottesco e sorprendentemente attinenti alla realtà quotidiana. Ricci approfondisce questi personaggi in cerca di una sorta di redenzione letteraria e li spoglia; li ingrandisce sotto una lente, analizzandoli all’interno del loro e del suo mondo, quello editoriale, mantenendo però una certa distanza focale che garantisce lo scarto necessario tra la critica del narratore e la sua personale visione del mondo, e il punto di vista dell’autore; li cataloga e li qualifica con un aggettivo che ne identifica immediatamente l’indole: Il solitario, Il manierista, Lo stregato, L’invidioso, solo per citarne alcuni.
Pilastro di tutta la raccolta è l’amore, come già sperimentato con L’amore e altre forme d’odio (Einaudi, vincitore del premio Chiara nel 2006) che ha consacrato Ricci al pàntheon dei migliori scrittori italiani di forma breve. Tuttavia nei Difetti fondamentali troviamo un amore più ragionato, quasi celato tra i comportamenti talvolta crudeli dei protagonisti, i tormenti e quel tipo d’intolleranza che potrebbero allontanare dalla comprensione del perno attorno al quale gira ogni vita, ogni storia del libro: quel difetto fondamentale che torna prepotentemente evidente attraverso le scelte degli stessi personaggi, disorientati da una indigenza affettiva e centripeta che in maniera paradossale li traina verso la completa disgregazione.
Il solitario ne è un esempio: il protagonista, deciso più che mai ad abbandonarsi unicamente alla stesura del suo romanzo, si chiude in una casa con la moglie che ogni giorno va a bussare alla sua porta chiedendogli di farla entrare; il racconto si sviluppa quasi per intero in un dialogo serrato e intenso, ricco di momenti in cui il lettore vorrebbe cedere e aprire lui stesso quella porta, capire il perché di quell’insistenza morbosa da parte della moglie. Dal canto suo, la donna si fa largo attraverso la narrazione fino a che il solitario comincia a tentennare e a scavarsi dentro in un monologo interiore.
«Adesso occupo veramente un interno, abito in una fodera. Ho l’impressione che niente e nessuno possa più raggiungermi, la protezione è definitiva. Il mio spirito eversivo si libra negli spazi infiniti del salottino, della cucina, del bagno, della camera da letto. Avrei potuto fare il giro del mondo, mi sono chiuso in casa. Sono iperattivo nel mio oziare. Sono il fautore del mio destino.»
La moglie vuole far parte di quel momento di estrema intimità mentre il marito, asserragliato dietro una porta, isolato dentro l’appartamento, non riesce più a scrivere ma solo a pensare alla prossima visita che puntualmente arriva il giorno seguente. Così cede al fascino assillante dell’attesa e all’unica speranza che lei si faccia viva per continuare quel siparietto giornaliero. I due si parlano, si amano, non possono fare a meno l’uno dell’altra, diventano viscerali nella privazione reciproca.
Così i personaggi dei Difetti fondamentali escono fuori dalle pagine uno a uno con forza dirompente e ci trascinano nei loro luoghi. Ci portano nell’isola di Cap d’Alpe, completamente nudi insieme all’eccitato alle prese con una donna misteriosa che è l’unica vestita in un’isola di nudisti. Ci capita di entrare in una libreria che non tratta più libri insieme all’invidioso alla ricerca del libro del suo amico e sperando di non trovarlo per poi compiacersene, in macchina a cento chilometri orari insieme allo scomparso, e infine di ritrovarsi poveri e soli sotto un ponte insieme al folle.
Questi simulacri diventano così friabili nei loro difetti da sentirli accanto nelle debolezze quotidiane che affliggono ogni essere umano in lotta con la realizzazione personale, coi propri sogni e con le proprie sconfitte.
Chi come me aveva già conosciuto lo scrittore pisano e ne aveva apprezzato lo stile asciutto e mai banale, le frasi precise e senza manierismi, ritroverà in questa sua ultima raccolta gli stessi pregi di sempre, ma con un taglio ancora più sghembo e fondo.
Come se volesse togliersi qualche sasso dalla scarpa e mettere nero su bianco il mondo di cui fa parte, sezionandolo con occhio critico e vivace, facendone emergere i caratteri più ridicoli ma anche mostrando il lato più torbido, senza rinunciare all’indulgenza determinata da una prossimità inevitabile di chi per mestiere crea (o cerca di fare) arte. Il risultato è un libro che senza dubbio rispetta le aspettative e dimostra come il sottotitolo di copertina, L’arte del racconto al suo meglio, non sia messo lì solamente per ragioni commerciali.
Non a caso lo scrittore folle del racconto omonimo che chiude la raccolta cita l’aforisma di Karl Kraus: «Ci sono due specie di scrittori, quelli che lo sono e quelli che non lo sono». Coi Difetti fondamentali Luca Ricci non solo conferma di appartenere alla prima categoria, ma prova di essere un cavallo di razza, un mattatore della short story.
il raddoppio dei vizi capitali, di questi tempi mi pare i minimo