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Il romanzo d’esordio di Alessandra Minervini, Overlove (edito da Liberaria), potrebbe catturare l’attenzione dei bibliofili romantici. Ma cosa vuol dire overlove?

Carmine, uno dei protagonisti del libro, lo spiega all’amata Anna a pagina 84: «Non abbastanza, quindi troppo. Troppo amore non è abbastanza amore.» A queste parole, lei deglutisce e strabuzza gli occhi.

Se questa è anche la vostra reazione, sappiate che overlove non è un concetto così astruso, e nemmeno così nuovo. La psicoterapeuta Robin Norwood lo ha già spiegato bene alle masse una ventina di anni fa in Donne che amano troppo (Feltrinelli): le ossessioni amorose hanno poco a che fare con il vero amore, ma si insinuano nelle crepe esistenziali, sono tappi che coprono vuoti. Un cono di cerume nel condotto uditivo potrebbe essere un’analogia immediata.

Come indica il titolo, Overlove è un romanzo che parla del troppo amore con tutte le sue convessità e concavità.

Overlove Minervini Alessandra

Anna Dellera e Carmine Alfieri si amano nonostante ostacoli e differenze. Per esempio, lei non gradisce la musica, mentre lui è i Miamai. Lei ha un orecchio assurdo (l’opposto dell’orecchio assoluto) e predilige i silenzi blindati. Lui è un one man band, un solista che vale quanto un gruppo.

Oltre a essere musicista e a sfoggiare un plurale maiestatis, Carmine possiede una sensibilità metereologica: «Presagiva le perturbazioni con un sesto senso fatto d’indifferenza atarassica per il bene altrui a meno che il bene altrui non coincidesse con quello per sé». Dieci anni più giovane di Anna, ha anche una moglie (sposata qualche anno prima, perché «comoda e incinta») e una figlia, Alma, una bambina «tradizionale» dallo sguardo «antico» e «impreciso».

La storia d’amore si conclude subito all’inizio del romanzo: Anna lo lascia, appunto perché lo ama troppo. Film già visto? Non proprio.

Infatti la protagonista è una che di gatte da pelare ne ha tante, con o senza innamorato. Tanto per cominciare, ci sono la mancanza di denaro e l’abbondanza di debiti ereditati dal padre. A suo tempo, Nunzio Dellera è stato un gaudente, un imbroglione che ha distrutto l’azienda di famiglia, prima di levarsi dai piedi con un suicidio tanto pulp da far accapponare la pelle a Tarantino.

A completare il quadretto familiare di casa Dellera, c’è Carla, la madre di Anna, che dopo la morte del consorte crede solo in Margaret Mitchell, l’infermiera detective di una popolare serie televisiva. D’altronde, la vita non può essere perfetta: «La felicità arriva da una mancanza. Se non ti manca mai niente, non sei mai felice».

Dopo la rottura, la vita continua come al solito, ciascun personaggio sospeso nella propria bolla: Carmine che sente la mancanza di Anna, Carla che sente la mancanza del marito, Anna che sente prima di tutto la mancanza dei soldi. Le vicende sono costellate da personaggi secondari con storie peculiari, mentre i due innamorati prendono atto l’uno dell’assenza dell’altra, giungendo a un finale che non ci si aspetta.

Il pregio di Overlove è soprattutto nel linguaggio: sinestetico, forbito, potente. Alessandra Minervini ha il talento di creare accostamenti insoliti ed efficaci, come quando fa scrivere a Carmine una canzone dal testo «liliale, fresco come un vento di fine giugno che arriva al posto del caldo agosto e solletica la pulsione dell’attesa estiva. Simile al vento che accarezzava le finestre della stanza in quel momento. Una perturbazione che gli ricordava Anna la mattina, quando, appena sveglia, sgranocchiava frutta fresca.»
Le descrizioni di ambienti, persone e situazioni risultano vivide e allo stesso tempo accennate, come le immagini dei sogni:

«La prima volta che s’incontrarono, la voce roca di Anna l’aveva ingannato. Un’afonia androgina che contrastava con l’avvenenza sibarita del corpo, con gli occhi prolissi, con le labbra che facevano il bello e il cattivo tempo. Mute tempeste di sabbia, verbose sacche di erba bagnata.»

«Anna si era ritrovata accanto a due ragazzi, una coppia. Fissavano il suo abito come un bambino fissa per la prima volta un nano, avvolti nel perbenistico dubbio se gridare aiuto o porgere la mano, sentendosi in colpa per non essere deformi.»

Come i concittadini dei Simpson nella colorata Springfield, ciascun personaggio vicino ad Anna e Carmine ha le proprie singolarità.

Non possono passare inosservati Bowie e Blondie, fan dei Miamai, montenegrini, ricchi sfondati. Anche detti B&B, lei cambia colore di capelli «come cambia gli assorbenti», lui è un ex-aspirante artista. Tra gli ex amanti di Anna c’è Mario Destino, scrittore-guru-motivatore, che scrive manuali per insegnare l’autostima alla gente comune, mentre nel tempo libero divulga in rete, in forma anonima, i romanzi in prossima uscita di sua moglie, popolare autrice fantasy. Per non parlare dei creditori della famiglia Dellera. C’è Valerio alias Soldatino, «Bello come una sera qualunque che si trasforma in una notte stellata», colui che anni prima si prese l’innocenza di Anna, motivo per cui i dare e gli avere risultano più complicati. C’è anche Minnie, femmina dalle curve sgonfiate dal tempo, che ama circondarsi di riproduzioni di se medesima su tela e in 3D: «Le sue mani sapevano di soldi che sapevano di catarro. Gliele strinsi e poi mi pulii sul culo della venere di Minnie».

L’umanità di contorno ai protagonisti si mostra senza vergogna, spesso tra succhi gastrici e genitali, puzze e rifiuti organici vari. Per esempio, nei ricordi adolescenziali di Anna, la flatulenza di Michele Santorsola esplode durante un pomeriggio di baci furtivi nella salumeria dello zio di lui: «lasciai che quella debolezza intestinale fosse per me una prova a cui il Dio dell’amore mi aveva sottoposto». Invece, Nino Campagna, l’impiegato cimiteriale, dopo tanti anni di matrimonio è diventato intollerante all’odore della propria consorte: una mistura di naftalina e scoglio di mare che fermenta anche meglio sotto le ascelle muliebri prive di deodorante. Vita, Maria e Giovanna sono invece amiche di Carla, tre vecchie identiche, con gli stessi pus al naso e con gli stessi denti neri che impediscono loro di sorridere. Non ha un bell’aspetto nemmeno il gestore del bar di fiducia di Carmine, con la pelle di metà corpo squamata per via di un’ustione da acqua bollente di pasta.

Una che ha spesso a che fare con situazioni scatologiche è Carla: «[Anna] prese un fazzoletto di carta robusta […] e ci accarezzò il braccio della madre dove brillavano lische di alici crude, un ciuffo di basilico, un fiocco di mais, una ciliegia marcia e un pezzo morsicato di pesca».

I personaggi di Overlove sembrano caricature kafkiane, ciascuno con un carico di stramberie, intenzioni e azioni con cui forse non si entra mai in sintonia. Chi legge salta da una pagina all’altra per capire dove condurranno questi momenti alla Ciprì e Maresco. Forse da nessuna parte, perché né Anna né Carmine giungeranno a una qualunque conclusione illuminante, se non per il mondo intero, almeno per loro due. E infatti l’atmosfera di lieto fine che si sente negli ultimi capitoli è un’impressione sbagliata. Nonostante l’abbondanza di intrecci e virtuosismi metaforici, si arriva all’ultima pagina ancora a stomaco vuoto, senza polpetta nel piatto. Un risultato che potrebbe rendere quel vuoto fondativo, in coerenza con il motivo del romanzo.

Overlove è l’anti-favola di San Valentino, una lettura interessante. E fa incuriosire, soprattutto sulle prossime fatiche letterarie dell’autrice che dimostra di avere una voce non comune. Dunque, occhi aperti sui prossimi romanzi di Alessandra Minervini.

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