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Questa intervista di Zafar Anjum è uscita su Kitaab ed è stata tradotta dalla Redazione di Altri Animali.

Altaf Tyrewala è uno scrittore in lingua inglese e ha studiato Pubblicità e marketing a New York, ritornando poi a Mumbai nel 1999 per scrivere il suo acclamatissimo romanzo d’esordio Nessun dio in vista (traduzione di Gioia Guerzoni, Feltrinelli). Nel 2012 ha pubblicato The Ministry of Hurt Sentiments. Il suo nuovo libro è una raccolta di short stories, Karma clown. Dispacci da una nazione iperreale (Racconti edizioni, traduzione di Gioia Guerzoni).

Se ho capito bene, hai cominciato a scrivere racconti nel 2001. Finora hai pubblicato due raccolte, se possiamo definire così il tuo primo libro composto da storie intrecciate tra loro. Come spieghi la tua fascinazione per questa forma?

Ho scritto il mio primo racconto mentre ero al lavoro come sviluppatore di contenuti per una ditta di e-learning. Forse avrei tentato la strada del romanzo se prima mi fossi fatto le ossa con i long form giornalistici o anche se fossi arrivato dai jingle pubblicitari (sì, ho una laurea in Pubblicità). Ma creare contenuti accessibili solamente attraverso gli schermi di un computer mi ha insegnato una lezione quanto a concisione e ad arrivare al dunque il più velocemente possibile. Quindi una volta che sono passato a scrivere narrativa quelle abitudini maturate con l’e-learning erano difficili da abbandonare. In un certo senso, Nessun dio in vista è strutturato come un sito web, ogni storia è collegata alla successiva da un ipertesto, e ognuna contiene in se stessa un mondo, fino a che non si chiude il cerchio. Però devo anche dire di non aver mai scritto una di quelle storie senza essere distintamente conscio di come si sarebbe inserita nel quadro più ampio delle storie che l’avevano preceduta. Non stavo scrivendo un romanzo né i classici racconti, non sapevo che stavo facendo, ma ne sono stato consumato per quattro anni.

Cimentarti con un romanzo è nei tuoi piani futuri? Non che sia necessario a ogni costo.

Grazie, apprezzo il tuo tentativo di indorare la pillola. Dopo aver scritto il mio primo libro ci ho provato per alcuni anni, a scrivere un secondo che fosse quel romanzo-che-mi-cambierà-la-vita-piacerà-agli-agenti-e-farà-un-successo-pazzesco. E ovviamente doveva essere un romanzo «romanzo», niente trucchetti con racconti interrelati tra loro, nessun collage mascherato come un’opera coesa. Sono perfino arrivato quasi a finire un romanzo, o due. Forse non sono abbastanza vecchio o tecnicamente all’altezza per essere in grado di coprire un arco narrativo simile dall’inizio alla fine. Dopo un po’, maturo un certo scetticismo riguardo ai miei stessi mezzi. Vedo l’artificiosità nel far finire qualcosa, a meno che non finisca con la morte, il che è prevedibile, o una specie di morte, il che è sentimentale. Quando si tratta di scrivere un romanzo (e cosa più importante, finirlo) divento una matassa di scuse autoassolutorie.

Le tue storie sono ambientate a Mumbai. Com’è la tua relazione con la città?

Una volta erano ambientate a Mumbai. La città sta cominciando a scomparire dalla mia narrativa. Ironicamente, con essa se ne stanno andando anche i personaggi più attuali e identificabili. I miei scritti stanno prendendo direzioni più concettuali, sperimentali e meno ancorate nel milieu fisico odierno. Non vivo più nel quartiere in cui sono cresciuto. In un certo senso, mi sono estraniato dalla parte di città che conoscevo più intimamente. Vivo in un sobborgo ora. Navigo in una Mumbai differente: una Mumbai senza pavimenti, con troppo traffico, un posto dove non si può perdere tempo. E questo fatto ha già cambiato la mia scrittura.

Quali sono i tuoi autori di racconti preferiti? In inglese o nelle altre lingue indiane.

Non ho autori preferiti. Ma sono un fan accanito di quei pezzi concettuali che finiscono su McSweeneys.net.

Segui qualche tecnica o qualche processo di scrittura particolare? Quand’è che sai di aver finito un racconto?

Quando mi fa addormentare, ecco quando.

Quali sono i racconti che ti attirano di più?

Un tempo credevo che la gente si rivelasse per quello che è nei momenti di crisi. Ma ho scoperto che spesso succede anche quando stanno cercando disperatamente di vendere qualcosa a qualcuno. Trovo affascinanti le tiritere del marketing. I personaggi o le situazioni che ruotano attorno al processo di vendita mi incuriosiscono. Oggi siamo tutti consumatori, è la nostra identità predominante, e perciò siamo continuamente attirati e allettati a spendere i nostri soldi per qualcosa venduto da qualcuno. Trovo intrigante capire come avviene quest’attrazione.

Consigli per un aspirante scrittore di racconti?

Mai pensare a una short story come una cosa a sé stante. Ricordatevi di far parlare tra loro i vostri racconti.

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