Partiamo dall’inizio: come nasce Robledo?
Robledo nasce da una domanda ingenua, me la sono posta qualche anno fa guardando me e chi mi stava attorno, eravamo tutti precari, cercavamo come potevamo di saltare da un lavoro al successivo senza mai atterrare al suolo, negli interstizi tra un lavoro e l’altro regalavamo ore di vita a datori di lavoro ben contenti di pagare soltanto con promesse che, tra l’altro, di rado mantenevano. La domanda suonava più o meno così: Perché accettiamo di lavorare senza essere pagati? Cosa ci spinge a farlo? Può sembrare una domanda semplice, quasi banale, secondo me non lo è, è tutt’altro che semplice, tutt’altro che banale. Personalmente ho passato gli ultimi tre anni tentando di indagarla.
Robledo è il frutto di questo ossessivo indagare.
La storia di Robledo è molto complessa e stratificata. Perché la scelta di una forma saggistica intorno alla figura di Michele Robledo per raccontare le vicende di LPL?
Robledo non poteva che essere un romanzo corale, policentrico, irrequieto. Quando ho iniziato a dargli una forma, ho da subito lasciato perdere la costruzione dei personaggi, il rischio di finire per scrivere un romanzo sciatto o peggio insopportabilmente retorico era troppo alto, non me la sentivo di rovinare tutto con un plot prevedibile. Ho preferito optare per la costruzione di un intero mondo narrativo, con i suoi documenti, le sue leggende metropolitane, i suoi diari, i suoi biglietti d’addio, etc. Se ci pensi è l’unico modo che conosciamo per raccontare la storia delle organizzazioni rivoluzionarie. E Robledo altro non è che la storia dell’ascesa e del declino di un’organizzazione rivoluzionaria, seppure radicalmente reazionaria.
L’escalation di lpl dai Gruppi di ascolto a una rete para statale di stampo terroristico getta una luce inquietante sulla nostra società. Ci sono dei movimenti a cui ti sei ispirato?
Tutti quelli di cui sono riuscito a reperire documenti e informazioni, con particolare attenzione ai movimenti rivoluzionari degli anni sessanta e settanta.
Nel romanzo-saggio usi i nomi reali di imprese e case editrici esistenti, come Ikea, Mc Donald’s, Mondadori e Feltrinelli; nella bibliografia alla fine del libro invece usi nomi inventati (Mondatori, Fetrinelli, Rizoli, ScureLettere e, soprattutto, Einaudio/Einauti/Eniaudi). Perché questa scelta?
Volevo rendere evidente la falsità della bibliografia, segnalare che era anch’essa un elemento inventato, che era anch’essa un elemento della storia che stavo raccontando.
Subito dopo Robledo ho letto Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese… di Aldo Nove, che già in Superwoobinda aveva trattato di una generazione allo sbaraglio. In questo libro del 2006 lui definisce lo stage come «una forma di sfruttamento e di ricatto» che «si differenzia dall’apprendistato (dagli antichi ragazzi di bottega che, in contesti più umili, “imparavano un mestiere”) perché non insegna nulla». Cosa ne pensi tu del nostro sistema lavorativo fatto di stage, alternanza scuola-lavoro e formazione continua?
Sono preoccupato delle iniezioni massicce di lavoro non retribuito con cui lo stiamo drogando nel tentativo assurdo di non guardare in faccia la realtà: il mercato del lavoro è oramai irrimediabilmente disarticolato, bene che ti vada potrai accedere sempre e soltanto a delle forme intermittenti di retribuzione, ciò equivale a dire che è anche la tua esistenza, e non solo il tuo lavoro, a essere diventato precario. Prima o poi dovremmo iniziare a discutere concretamente di come rimediare a questo immenso errore storico.
Perché hai scelto, come tappa ultima del percorso di liberazione dei tuoi uomini e delle tue donne, il suicidio? Perché non una rivoluzione armata contro il sistema capitalistico avanzato?
Perché i ghost worker non credono nel futuro. Per loro il futuro semplicemente ha cessato di esistere, è qualcosa che appartiene a chi ha un lavoro vero. Dato che non hanno futuro, non hanno nemmeno alcuna utopia, alcun progetto, alcuna speranza. E senza queste tre cose, le rivoluzioni non hanno materialmente la possibilità di emergere.
Qual è la direzione in cui si sta muovendo il mercato del lavoro in Italia, secondo te?
Non lo so. So solo che la maggior parte della gente che conosco è costretta a mettere assieme tre o quattro lavori di merda per campare in maniera poco dignitosa. Ciò non mi lascia ben sperare.
Per concludere: prossimi progetti letterari?
Mi piacerebbe scrivere qualcosa sulla guerra in versi. Non poesie, sia ben inteso, ma paragrafi pieni di frasi che vanno a capo troppo presto o troppo tardi, senza ancorarsi ad alcuna punteggiatura. Nell’idea che pian piano sta emergendo dovrebbe essere una sorta di cover jazz, solo che ancora non so di cosa. E sì: non mi faccio illusioni, dubito che troverò qualcuno disposto a pubblicarlo.
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