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Vanessa ed Erica hanno il nome di una farfalla e di un fiore e sono le protagoniste di Ellissi, l’ultimo romanzo di Francesca Scotti (Bompiani). Sono due ragazzine affette da disturbi dell’alimentazione, che conosciamo mentre si stanno preparando non per una spensierata vacanza, ma per Villa Flora, una casa che promette ai loro genitori una cura.

E in fondo quello che trovano è una sorta di rimedio, un palliativo che resta ben lontano dall’aspettativa della guarigione. L’una trova l’altra, e insieme l’accanimento per continuare a distruggersi. La loro ossessione sono le libellule, che «si trasformano quindici volte prima di diventare quello che vedi». Ma soprattutto la libellula – che deriva dalla parola latina libra, «bilancia», tanto per rimanere in tema – ha delle splendide ali, leggere, sottilissime, quasi trasparenti. Ed è fino a quel punto di inconsistenza che Erica e Vanessa vogliono arrivare. Perciò ingannano i medici e le loro terapie – «Ora alzatevi con calma. Fate un gesto della mano per esprimere come vi sentite oggi, poi ripetete il gesto dicendo il vostro nome» – tanto quanto i genitori, e continuano la trasformazione.

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Erica e Vanessa instaurano un legame tossico, esclusivo – «Sei l’unica che potrà diventare una libellula insieme a me» dice l’una all’altra – e sono troppo giovani, troppo malate per ri-conoscere quell’amore gentile, che non s’inasprisce, che sopporta ogni cosa, che spera ogni cosa. Quindi un po’ si odiano, un po’ si vogliono bene, un po’ si ingannano, un po’ si sfiorano, un po’ si spingono via. Vivono, ci provano. Un po’.

«L’indice e il pollice delle mani di Erica devono toccarsi attorno al punto più largo della coscia di Vanessa; il pollice e l’indice di una mano di Vanessa devono chiudersi intorno alla caviglia di Erica. Senza forzare.» Ci sono volte in cui il corpo è più pronto dell’anima a passare attraverso la pubertà. Erica e Vanessa – in questa fase così delicata del passaggio dall’infanzia all’adolescenza – non vogliono perdere il controllo su loro stesse, vogliono modellare il loro fisico (gambe, braccia, ventre, tutto), inseguire quella leggerezza terribile, per arrivare a un punto tale della metamorfosi da abbandonare quel corpo come le libellule i propri bozzoli. Vivono un disagio e non riescono a farlo ascoltare che così, con la sottrazione: ellissi (dal greco ἔλλειψις) significa proprio «omissione», «mancanza».

Se dunque ellissi è mancanza, in questo romanzo trova spazio anche l’ellisse che, in geometria, descrive «il luogo dei punti del piano per i quali si mantiene costante la somma delle distanze da due punti dati, detti fuochi (tale somma è necessariamente maggiore della distanza tra i fuochi stessi)», come recita la Treccani. Vanessa ed Erica sono due numeri primi, strutturalmente impossibilitate a stringersi. Girano l’una intorno all’altra come corpi celesti sulle proprie orbite ellittiche, abbastanza vicine per vedersi ma non per toccarsi. Non per trascinarsi fuori dall’oblio di una «malattia enorme» come l’anoressia (e la bulimia) che, in Italia, nel 2016 ha fatto 3240 vittime.

Non a caso, dunque, nel romanzo di Francesca Scotti, che è di nome e di fatto il romanzo dell’ellissi, sarà la mancanza a interrompere la rivoluzione astronomica delle due ragazze. Erica, a un certo punto, troverà nella scomparsa di un paziente di Villa Flora la sua epifania:

«Vorrebbe inventarsi una preghiera da rivolgere tutte le sere alle stelle, alle rondini, persino alle api. […] Trovatelo. Fra due suoni c’è il silenzio, tra due nuvole il cielo, tra due pietre un nascondiglio misterioso. Tra due ali c’è un corpo. Ritrovatelo. […] È a se stessa che dovrebbe rivolgere quella preghiera».

Un corpo ci vuole, anche per permettere alla farfalla di posarsi sul fiore.

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