Nella vita sarà capitato a tutti di vedere un pavone. Sono belli, per carità: hanno tutte ‘ste piume variopinte, un bel becco appuntito, e un’aria da pennuto viveur che ha visto un sacco di mondo e te lo sa raccontare. In realtà di mondo ne hanno visto veramente poco, ma tutte queste caratteristiche sono finalizzate al loro principale scopo nella vita: farsi guardare. Li troverai spesso in luoghi in cui si possono mettere in mostra; dai festival alle fiere, dalle vie principali delle grandi città alle feste in maschera, dalle messe in chiesa ai concerti rock; insomma, dovunque possano attirare l’attenzione di una larga cerchia di individui. E perché mai, contro ogni legge evoluzionistica, contro i basilari princìpi della sopravvivenza, vogliono attirare attenzioni indiscriminate? Semplice: hanno un rapporto simbiotico con la società, alla quale danno bellezza e fascino (o almeno, ne sono convinti) e dalla quale ricevono sguardi, attenzioni e complimenti, che sono il loro nutrimento principale. Non bisogna però credere che i pavoni siano tutti esteticamente perfetti. Caratteristica fondamentale del pavone non è tanto l’aspetto esteriore in sé per sé, quanto la capacità di farsi notare. Vi sarà senz’altro capitato di vederne uno, magari bruttino, magari vestito in un modo obbrobrioso, ma con un nonsoché (un tono teatrale, una movenza ridicola, una risata insopportabile) che ti costringe a puntare irrimediabilmente il tuo sguardo su di lui. Ecco, capite cosa intendo? Il bello dei pavoni non è qualcosa di intrinseco, ma un’abilità che hanno imparato a sfruttare durante la loro vita. E, in realtà, è l’unica che abbiano mai sviluppato.
Il web è un luogo sotto gli occhi di tutti; era ovvio che prima o poi i pavoni sarebbero arrivati. E infatti, da un giorno all’altro, comparvero. Quello che nessuno si aspettava era l’improvviso mutamento della specie per adattarsi al mondo virtuale. Una cosa da nulla: i pavoni del web erano tutti impagliati. Non che fossero brutti, per carità: erano splendidi come tutti gli altri. E sapevano benissimo di esserlo: non perdevano infatti occasione per mostrarsi in pubblico, con la webcam, le foto, gli eventi, le sagre (ma – forse per solidarietà con lontani parenti – erano tutti concordi nel boicottare la Sagra del Tacchino alla Canzanese), i programmi radiofonici, e le rubriche giornalistiche. Per motivi imperscrutabili della natura, odiavano la televisione (qualche malalingua afferma che fosse perché Superquark non ha mai trasmesso un documentario dettagliato sui pavoni, ma, per l’appunto, sono solo malelingue).
Il fatto è che sì, erano belli, ma dapprincipio nessuno – e molti anche dopo – aveva capito che cosa questi pavoni facessero. Data la loro ovvia predisposizione a pavoneggiarsi, avevano eletto come piattaforma preferita Youtube. Riempivano i canali di pareri non richiesti e tendenzialmente discutibili. Il fatto poi che fossero impagliati e che per questo non spiccicassero una parola che una, non faceva che rendere le loro critiche piuttosto enigmatiche. Alcuni si erano ritagliati un posticino nella Critica a Caso di Arte Commerciale a Caso (l’Arte – è doveroso specificarlo – nel frattempo si era presa una lunga vacanza) e avevano così – vuoi per la loro bellezza, vuoi per i toni forti e provocatori che il loro mutismo evocava, vuoi per l’imbecillità insita nel genoma umano (non ancora scientificamente provata, ma talmente evidente a livello empirico che un riconoscimento scientifico sarebbe soltanto una formalità) – attirato sciami di utenti sprovveduti. Quando qualcuno chiedeva a costoro delucidazioni sul perché si interessassero a dei pavoni impagliati, riceveva in risposta un laconico: Fanno ridere, che lo incuriosiva al punto da farlo andare a ingrossare le fila dei fans.
Tra le loro critiche più memorabili, dobbiamo senz’altro ricordare « », « », « », « » e ovviamente la celebre « » che ha destato tanto scalpore e diviso il pubblico di tutto il mondo. Forse meno nota ma di fondamentale importanza è anche « », che con la sua incisività e la sua asciuttezza ha dato vita a fior fior di saggi critici sull’argomento, ed è stata citata più volte da politici e intellettuali di tutto il mondo per la pregnanza di certi suoi passaggi. La continua presenza sul web, come detto, diede ai pavoni una fama tale che presto li portò a espandersi anche in altri campi. Dapprincipio sostituirono gli altri uccelli. Potevi così vedere file di pavoni impagliati sui pali della luce, i quali, non essendo ovviamente campioni d’equilibrio, rovinavano sulle auto in corsa provocando non pochi incidenti; pavoni nelle piazze e nei parchi, con gli anzianini che provavano a lanciargli pezzi di pan secco, e quelli rimanevano immobili a fissarli disgustati, ostentando la loro superiorità tassidermica; pavoni sulle statue, e questo dall’opinione pubblica fu salutato come miglioramento del decoro urbano poiché, essendo impagliati, i suddetti pennuti non potevano scagazzare ovunque.
Poi arrivarono anche in tivù. Un’improvvisa epidemia di escherichia coli mise fuori gioco tutti i concorrenti di un noto reality, e i produttori furono costretti a usare delle controfigure con la stessa vitalità, lo stesso acume e la stessa presenza. I pavoni impagliati, appunto. All’inizio erano un po’ restii per via di quel loro odio atavico per il piccolo schermo, poi quando videro tutti quei fari, tutte quelle telecamere, il pubblico, i like su facebook e la fama e la gloria, pensarono che il piccolo schermo, in fondo, non era poi così odioso. Da lì all’invasione di talk show politici e talent, il passo fu breve. E in quel momento tutti notarono che qualcosa stava cambiando. Quel silenzio evocativo che riuscivano a imporre acquisiva agli occhi del pubblico una rispettabilità che da anni non si conosceva. Così, quando sostituirono attori, scrittori e artisti, ci fu una grande acclamazione popolare. Il loro mutismo aveva una signorilità e una forza espressiva che colpiva fortemente la sensibilità di ciascuno (non dimentichiamo che l’Arte era in vacanza). Fu poi la volta dei calciatori. La nuova esasperata staticità del gioco divenne oggetto di discussione da parte degli opinionisti (molti ormai sostituiti anch’essi da pavoni), che vedevano l’avvenirismo tattico-strategico di questa impostazione.
Colmato ormai ogni luogo con la loro presenza, i pavoni impagliati che arrivarono per ultimi si trovarono senza lavoro. Nessuno sapeva più dove metterseli. Si ipotizzò un genocidio (la comunità ebraica protestò fortemente, ma si acquietò quando gli fecero presente che la parola genocidio, essendo i pavoni già morti e impagliati, era assai imprecisa) o una riapertura della caccia (qui furono gli animalisti a indignarsi, e nessuno si prese la briga di ripetere la stessa spiegazione).
La soluzione arrivò inaspettata; avendo ormai i pavoni avevano preso il posto della maggior parte degli altri volatili, a Canzano erano rimasti senza tacchini. Si decise così di convertire la sagra in Sagra del Pavone alla Canzanese. C’erano le tivù, le dirette streaming, politici, vips, fotografi, modelle, e chiunque sapesse dove si trova Canzano o avesse un po’ di dimestichezza con Google Maps e le strade dell’Abruzzo. Ovviamente i pavoni, sentendo l’odore di evento mondano in cui farsi notare, accorsero in massa. Fu così che, grazie alla loro vanità, la sagra fu un successo.
La storia dei pavoni impagliati ebbe però un lieto fine anche per loro stessi: non sapendo cosa farne di tutti gli avanzi della sagra, si decise di sostituire in tutti i banchi di tutti i supermercati la carne di pollo e tacchino con quella dei pavoni. Così furono, ancora una volta, visti e ammirati da chiunque. Polli e tacchini ringraziarono. E il sapore, furono tutti d’accordo, non era poi così diverso.
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