ZZ Packer è l’autrice numero 10 di Racconti edizioni, Bere caffè da un’altra parte è il suo esordio letterario e potrebbe funzionare come un manuale di orientamento per giovani outsider. O magari come una divertita e ferocissima satira degli stereotipi americani e dell’impatto che hanno su chi li usa e su chi li subisce. Oppure potrebbe essere usato per fare i conti con il proprio background e scoprire che i nostri genitori sono uomini e donne come noi. O magari semplicemente, potrebbe essere letto per quello che è: otto storie da far tremare i polsi, da cui si esce come se avessimo fatto la migliore chiacchierata della nostra vita con un’amica appena incontrata.
Non è un caso che George Saunders si sia speso per elogiare l’autrice americana usando queste parole.
I racconti di Zz Packer, originaria di Chicago, sono apparsi sul New Yorker, sul The Guardian, in Granta e The Best American Short Stories facendo man bassa di premi letterari. Dopo una gestazione di oltre tredici anni sta per arrivare anche il suo attesissimo primo romanzo, The Thousands, a proposito delle tormentate vicende dei Buffalo Soldiers.
Zadie Smith ha detto che «ZZ Packer scrive racconti più complessi e dolci della maggior parte di quei cigolanti romanzi da 500 pagine che si vedono sugli scaffali delle librerie. È quel tipo di narrativa brillante che rende invidiosi gli altri scrittori e grati, molto grati i lettori». Le parole della scrittrice britannica sono condivisibili considerando che i racconti di ZZ Packer – con la traduzione di Emanuele Giammarco e le illustrazioni di Walter Galindo Gavilano – sono uno squarcio sui frammenti di vita dei personaggi.
Una giovane donna di chiesa, studentessa diligente, è seduta sul bancone di un five-and-dime di provincia. È da un po’ che ha ordinato il suo milkshake, ma pare che dovrà attendere. Doris è nera – come i ragazzi dei fatti di Greensboro – mentre il decennio appena iniziato ha un cartello con su scritto: whites only. Quali pensieri le passano per la testa? E quali opportunità si dischiuderanno per le future generazioni, a partire dalla forza che sarà in grado di dimostrare?
Non c’è Storia di un popolo che non viva nei racconti della sua gente e ZZ Packer prova a riscriverla ripercorrendo ogni piccola esperienza, ogni vicolo dietro la strada principale e ogni radice che si dirama da quel fusto. Lì nascono storie per chi ha bisogno di colmare una mancanza: quella di un bluesman senza una gamba e di un’infermiera bigotta che non riesce a toglierselo dalla testa, o quella di una ragazzina in fuga da casa e in cerca di sua madre fra i travestiti di Atlanta. Sono storie aggrovigliate come le immagini che si vedono dai treni in corsa e che proprio in quella matassa, tuttavia, riescono a sigillare un attimo di verità: piccole scout che imparano a odiare, ragazze del college che imparano ad amare, e altre ragazze in esilio che scoprono cosa si può arrivare a fare quando si è affamati per davvero.
A una vita di distanza dagli anni ’60, e da quella ragazza sul bancone, Bere caffè da un’altra parte significa potersi inventare un futuro facendo i conti col passato. Come in un film di Spike Lee: per quanto tu possa essere un ragazzo modello, c’è ancora un padre idealista e galeotto da sfidare sotto canestro.
La forza di ZZ Packer è la capacità di intrecciare epoche storiche, percorsi di vita e scenari differenti seguendo la traccia di un registro fresco e dissacrante che affonda la penna nei nervi scoperti di una cultura, ma è capace allo stesso tempo di prendersi in giro e di raccontare personaggi grotteschi, tragici e in fin dei conti buffi. Forse per questo John Updike ha detto che «la prosa di ZZ Packer è così vivida e di una comicità così frizzante da fare le scintille».
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