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La mano giaceva lì, a poca distanza dai miei piedi, strappata poco sopra il polso. Teneva stretta una Barbie intatta.

Come reporter di guerra avevo masticato il suolo di migliaia di inferni, visto brandelli di corpi, recisi nelle maniere più impensabili. Ma quella mano piccola, che guardava dal basso i palazzi scheletriti di Aleppo est, mi aveva incollato i piedi a terra, come niente prima; lei, come un fiore morto che non vuole appassire, mi sembrava una straordinarietà che meritasse la pietrificazione del mio corpo, e un pensiero lontano dall’impressione giornalistica, qualcosa da uomo; da padre, probabilmente. Ero solo, niente fotografo, niente colleghi, nessun interprete. Io e lei. Io, lei e i fantasmi di polvere. Io, lei e un laccetto di cuoio al collo che in quel momento stavo tormentando per cercare di restare nella realtà, per cercare di accettare che una mano di bimba potesse essere lì e non al suo posto. Pensai fosse giusto provare a restituirglielo, un posto, un corpo, anche quello sbagliato. La lasciai dov’era. Uno degli ultimi autobus di profughi mi passò accanto mentre frugavo, come uno sciacallo, tra rovine di corpi e case, oggetti quotidiani, resti di bombe.

Vidi, all’improvviso, un ciuffo di capelli chiari uscire da quello che mi sembrava fosse stato un letto, una volta. Mi avvicinai, senza pensare troppo a cosa stessi calpestando e provai ad estrarre il corpo. Non mi ci volle molto; dopo il secondo strappo che diedi, le macerie che stavano sopra rotolarono giù, liberando un corpo di bimba, intero, se non fosse stato per quel moncone che scendeva dal braccio.

Pensai a quanto sarebbe stato più facile passare oltre, afferrando una scusa qualsiasi, come l’assuefazione professionale alla morte.

Ma quel rumore del cuore, che prima ero sempre riuscito a trasformare in un articolo, non smetteva e anzi, diventava enorme. Deposi il piccolo corpo alla base di quella piramide da cui l’avevo sottratto e andai a prendere la mano. Non c’era. Mi guardai intorno e la vidi, tra i denti di un cane magrissimo che mi fissava. L’istinto fu quello di correre a riprenderla prima che sparisse nello stomaco. Ma il cane mi continuava a fissare, immobilizzandomi. Mi diceva dai, lasciamela, ho fame, a lei non serve più. Che valore poteva avere quella piccola mano? A chi sarebbe stata più utile? Esiste un’etica della sopravvivenza? E per chi vale?

Strappai un foglio al quaderno che portavo sempre con me, dove appuntavo le idee per gli articoli.

Lasciai ad Aleppo una bambina morta con una mano di carta. Ad Aleppo c’era una bambina con una mano di carta legata da un laccio di cuoio.

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