Eravamo lì, col Novecento raso al suolo, in direzione del 2000.
Make America great again si legge sul berretto di Donald Trump durante un discorso ufficiale; Nigel Farage a capo dello UK Independence Party inneggia alle glorie britanniche dell’impero prima dell’ingresso nell’Unione Europea; gli estremisti islamici auspicano un ritorno dell’Islam alla purezza dei suoi esordi: di questo Mohsin Hamid (autore di Exit West, Einaudi 2017) ragiona in un lungo articolo sul Guardian uscito lo scorso febbraio; di come la nostalgia ci stia impedendo di vivere in un presente che sia effettivamente tale. «Siamo attratti come degli amanti da un passato che non è più raggiungibile, da memorie immaginarie, dalla nostalgia.» E perché questo sentimento in fondo malinconico si espande fino a toccare l’arte, il cinema, la tv, la tecnologia? Perché la velocità con cui oggi avvengono i cambiamenti continua ad accelerare, risponde Hamid. E perché sempre più spesso cambiamento e stress sono due facce della stessa medaglia, che portano a percepirsi più vulnerabili, più depressi, più pericolosi anche.
«Le storie hanno il potere di liberarci dalla tirannia di ciò che è stato», di impedire alla nostalgia di prendere il sopravvento sul presente aprendo uno spiraglio a ciò che potrebbe ancora essere. È un antidoto, continua Hamid, che, trovandosi a vivere per metà a San Francisco e per metà a Lahore ha passato l’infanzia a disegnare carte geografiche di isole immaginarie ma potenzialmente esistenti (in mezzo al Pacifico, precisamente).
Che ci sia quindi, al di là della politica internazionale, un’ondata di nostalgia per gli ultimi due decenni (e non solo) del secolo scorso è piuttosto innegabile. Si è parlato a lungo di un ritorno ai glitterati e controversi anni Ottanta – in particolare nel cinema e nelle serie tv, come se ci fosse nell’aria il bisogno di riprendere in mano le edizioni Bompiani e Sonzogno di It e Stand by me di Stephen King per ravvivare una contemporaneità non esattamente florida.
Lo stesso succede per gli anni Novanta, scandagliati da Errico Buonanno e Luca Mastrantonio nel loro personalissimo Atlante sentimentale, uscito per Utet lo scorso ottobre. Se la copertina stessa è un imperituro zaino similInvicta a tutta pagina, basta aprire questo colorato almanacco di ricordi per finire sommersi da foto e cimeli che parlano agli – e degli – irriducibili adolescenti degli anni Novanta e anche quelli che non avevano quindici anni nel 1995 possono senza dubbio ritrovarsi in queste immagini-icona riesumate direttamente dagli antri polverosi della soffitta. Chi non aveva un astuccio con gli elastici per tenere fermi i pennarelli e le matite? O un poster dei Take That (meglio Spice Girls? Nirvana? il decennio è comunque quello giusto) dietro la porta di camera o sopra il letto? Non serve un feticismo particolare per gli anni Novanta per provare un moto di tenerezza e nostalgia sulle note di Beverly Hills 90210 (anche la sigla di Beautiful è ben accetta) e per – quasi – commuoversi pensando al grunge, agli anfibi e ai sogni di gioventù nei quali c’era ancora il tempo di credere. «Perché questo decennio unico, decennio di pace, di promesse, di entusiasmo, non si poteva che passare così: scivolando. Godendo di quegli anni buffi, in cui il mondo giocava e di tempo ce n’era. Ce n’era tantissimo», si legge nell’epilogo di quest’opera scritta a quattro mani.
Buonanno e Mastrantonio, nati entrambi alla fine degli anni Settanta, ripercorrono gli ultimi anni del Novecento alternando fatti di cronaca, rispetto ai quali fiction e non fiction oggi non sono quasi più distinguibili, diventati ormai simbolo di un’epoca (dal caso Clinton-Lewinsky alla morte di Lady Diana passando per l’evirazione di John Wayne Bobbitt) a eventi storici di portata mondiale (la prima Guerra del Golfo e il G8 a Genova, l’ingresso nella seconda Repubblica e le bombe in via Palestro e San Giovanni in Laterano), concedendosi di saltellare qua e là tra generi musicali privi di virtuosismi e libri culto di una generazione (Jack Frusciante è uscito dal gruppo, nell’edizione Transeuropa del 1994 è per antonomasia il romanzo di un diciannovenne degli anni Novanta, molto prima di essere Accorsi in vespa per i colli bolognesi – vespe che per altro rispunteranno nel 1999 con Squérez? dei Lunapop).
L’ampio apparato iconografico di Notti magiche è parte fondante del testo, perché è proprio a partire da vecchi scatti e fotogrammi di film che il lettore si riconosce in tutto quell’immaginario che credeva – e chissà forse sperava – di aver dimenticato; Buonanno e Mastrantonio procedono per immagini, consci di essere dentro una contemporaneità ipervisiva, l’età di Instagram, e di dover soddisfare i palati dei nuovi trenta e quarantenni social addicted.
Forse non tutti sentivano la necessità di imbarazzarsi ancora davanti a certi residuati bellici dell’ultima infanzia (o prima adolescenza che sia), ma è pur sempre patrimonio comune di una generazione che fa sorridere e non nuoce – anche se il walkman con gli 883 e le Converse con le spille da balia ci vanno terribilmente vicino.
I due autori attraversano «l’ultima adolescenza del Novecento» – che in un sussulto di millenarismo non può che essere la loro – senza curarsi di dare un ordine cronologico agli eventi via via ripescati, è un viaggio essenzialmente affettivo – nessuna pretesa storica all’interno del libro – in cui Buonanno e Mastrantonio si concedono la libertà di menzionare (in maniera sempre piuttosto scanzonata, senza prendersi mai sul serio) tutti i personaggi e i fatti che hanno dato un volto a quel decennio che si è aperto in anticipo con la caduta del muro di Berlino e si è chiuso in ritardo con il crollo delle Torri Gemelle. Non c’è una pretesa di esaustività in questa enciclopedia sui generis per adolescenti cresciuti, nessuno vuole raccontare a posteriori cosa si nascondeva dietro l’avvento di Studio Aperto o l’esplosione del grunge, niente studi socioantropologici del decennio di Tangentopoli (per fortuna); piuttosto in Notti magiche compare una foto del Monopoli anni Novanta nell’edizione a tema dopo lo scandalo delle tangenti, perché «l’aria di rivoluzione non risparmiava neanche i giochi da tavola: non più Monopoli o Crack ma Hotel, non più Risiko ma FutuRisiko!» si legge nel capitolo Giochi Preziosi e la foto compare e basta, è uno scatto. I figli degli anni Novanta sono quelli di Renegade su Italia 1, la tv dei giovani, e di Mtv che cambiava il mondo della musica con una rivoluzione incommensurabile, quelli che vedono la Milano da bere anni Ottanta diventare «una Paperopoli versione Marvel», dalle strobosfere dei club esclusivi a «Gotham City».
È un libro fatto per essere sfogliato come un album di figurine (o un diario della Smemoranda con le dediche d’amore e le citazioni di Gino & Michele, per restare in tema nineties), un po’ ridendo un po’ cercando di chiudere le decine di finestre che si aprono tra ricordi e post-it improbabili: in un certo senso Notti magiche è proprio un grande Diario con gli adesivi e le graffette a tenere uniti i pezzi di una memoria che è tanto collettiva quanto privata. Si dice del walkman, oggetto-simbolo del decennio in questione: «il walkman donava un perché a quella scena, grazie alla sua rivoluzione: musica portatile e privata. Ti faceva sentire un po’ meno sfigato. Ed era un perché tuo, personale, ma al tempo stesso generale, perché quella tua colonna sonora era la stessa che forse stavano ascoltando milioni di altri ragazzi che passeggiavano sotto milioni di balconi di altri milioni di ragazze».
Tracce di questa nostalgia per un decennio in cui «a un futuro distopico» ci si credeva davvero (e c’era nei riguardi del nuovo millennio sia paura che eccitazione) si ritrovano un po’ dappertutto: nelle sale dal primo gennaio 2018 c’è un nuovo Jumanji, remake del film del 1995 con Robin Williams e Kirsten Dunst (allora tredicenne); Superga e Dr Martens (chi lo sapeva che in origine erano scarpe ortopediche progettate da un dottore della Wehrmacht?) probabilmente non sono mai state così vendute come negli ultimi anni e Di Pietro, Craxi e tutta Mani Pulite sono diventati soggetti di una felice serie tv prodotta da Sky Atlantic con – guarda un po’ – Stefano Accorsi.
Dall’introduzione di Notti magiche: «Nostalgici? Certo. Noi oggi viviamo di revival» e, si chiedono Buonanno e Mastrantonio, perché? perché ora? perché in maniera così spasmodica e quasi dolorosa? Una possibile risposta compare nell’articolo di Buonanno uscito su Rivista Studio a ottobre: «Perché l’evento cinematografico è Trainspotting 2 mentre smaniamo per dei nuovi X-Files? Non è il sorriso bonario della maturità, il nostro. È un rifugio emotivo. È un tentativo di capirci qualcosa, di riconoscerci come generazione».
E così attraverso questa «adolescenza del mondo […] con tutti gli eccessi dell’adolescenza, col cattivo gusto dell’adolescenza» i due autori ci riconsegnano il presente, che dopo le Pantere a Roma e Non è la Rai sembra «una caricatura di cose che avevamo già vissuto (amici, musica, movimenti politici); solo che li avevamo vissuti “un po’ meglio”».
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