Proteggere e temporeggiare è una costola di Rantolo, primo racconto della raccolta Il vizio di smettere, di cui riprende i personaggi. Per chi già li conosce si tratta quindi di un’occasione per rincontrarli; per gli altri è un modo di entrare nell’universo del racconto passando, per così dire, da una porta laterale.
***
Veronica non sopporta il contatto fisico.
I suoi genitori scambiano la sua idiosincrasia per una mancanza di affettività, e a volte ne parlano, la sera, prima di spegnere la luce sul comodino e addormentarsi.
In ginocchio sul suo letto, l’orecchio appoggiato al muro che divide la sua stanza dalla loro, li ha origliati spesso parlare di lei come di un animale esotico, che incuriosisce e spaventa allo stesso tempo.
Sbagliano.
Non è una questione di sentimenti, è una questione di pelle.
Il contatto è freddo, il contatto è caldo, il contatto non è mai neutro.
In ogni caso cambia le cose, e questo a Veronica non piace.
Ammette delle eccezioni, quando si rende conto che la sua ritrosia rischia di sconfinare nella sociopatia.
E ne ammette una, sempre e comunque, quando c’è di mezzo Francesco. C’è qualcosa, nel tenere in braccio il fratellino, che le infonde una sorta di calma innaturale, come un blando sedativo. Quando lo guarda, Veronica intravede brevi scene che immagina provenienti dal futuro, sogni a occhi aperti che sa bene non è detto si realizzeranno, sottoposti come saranno a imprevisti, deviazioni, capovolgimenti. Eppure in quei momenti sente, come non le accade in nessun altra occasione, di avere uno scopo.
Veronica si sveglia, esce della sua camera da letto.
Va in cucina, svuota la moka dai fondi del giorno prima sbattendola sul bordo del cestino e rompendo così la bolla silenziosa della cucina.
Nel cestino vede la coperta preferita di Francesco, appallottolata e unta dal contatto con gli avanzi della cena.
Accende il tostapane, sente un sospiro provenire dal divano. Non si era accorta che suo padre dormisse lì, imbozzolato dentro una coperta come una larva di uno strano insetto tropicale. Di fianco a lui, nella culla, anche Francesco dorme.
Veronica guarda il padre per qualche secondo, poi il ricordo di quello che l’ha costretta a fare la notte precedente scaccia la dolcezza.
Il tostapane scatta, Francesco apre gli occhi, poi la bocca si increspa e prima che arrivi il pianto Veronica lo prende in braccio e lo porta con sé in cucina.
Fuori dalla finestra la strada è deserta, tranne un furgoncino giallo di recupero rifiuti che procede a rilento e si ferma davanti a ogni portone della via, come un pigro calabrone.
Veronica bacia Francesco sulla cima della testa, resa soffice da una peluria scura. Ha un profumo dolce, un profumo che per lei significa famiglia, molto più delle foto di gruppo stiracchiate, delle cene loquaci e cupe, delle quattro mura che i Bastiani chiamano casa.
Perché dopo che la macchina fotografica ha scattato, dopo che i piatti sporchi sono stati messi in lavastoviglie, la battaglia ricomincia da capo, con un’affannosa composizione delle fazioni in cui l’arruolamento di Veronica è troppo spesso decisivo.
Tenere in braccio il fratello è un atto di diserzione, il tentativo di formare un terzo schieramento che sovrasti gli altri due potendo contare su un maggior numero di effettivi.
Perché l’addestramento di Francesco sia completo ci vorrà del tempo, e fino ad allora non le resta che prenderlo in braccio, montare la guardia senza riposare mai, proteggerlo e temporeggiare.
Evitare che anche lui finisca stritolato.
Proteggerlo e temporeggiare.
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