«Tutte le ragazze avanti!» L’invito urlato da Kathleen Hanna del gruppo rock Bikini Kill a inizio concerto per far avanzare le ragazze sotto il palco prima di iniziare a suonare e per farle godere di un posto in prima fila in un quotidiano di esclusioni.
Oggi Tutte le ragazze avanti è il titolo di un libro pubblicato da ADD editore e curato da Giusi Marchetta che raccoglie i contributi di undici autrici – scrittrici, ricercatrici, blogger, esperte di musica e di serie tv – che raccontano cosa significa per loro essere femminista.
Sono undici visioni differenti che raccontano percorsi diversi, alcuni tormentati, altri meno, svelano parte del vissuto personale e delle esperienze dirette e non che hanno portato queste ex bambine a crescere e a diventare, a potersi liberamente definire, femministe.
Leggendole viene in mente il breve saggio di Chimamanda Ngozi Adichie Cara Ijeawele. Quindici consigli per crescere una bambina femminista perché alcune delle autrici ricordano con chiarezza il momento in cui hanno acquisito quella consapevolezza e poi quella sicurezza che oggi le porta ad autodefinirsi o a far parlare al loro posto l’attivismo quotidiano.
Il momento decisivo per molte infatti è quello dell’infanzia o della prima adolescenza e delle prime domande che portano chiarezza e coscienza grazie agli interlocutori giusti. In un mondo reale e in un universo mentale in cui si trova catapultata una bambina (o un bambino), immersa in una società che non ha tempo per le spiegazioni e bombardata da figure stereotipate, il valore che riveste un piccolo nucleo – la famiglia, la scuola, un singolo insegnante – è prezioso e insostituibile. All’interno di un percorso appena agli inizi e che potrebbe seguire qualsiasi binario, sono la singola figura, reale o immaginaria, o anche una sola lettura a fare la differenza sulla strada da prendere, sulla direzione verso cui affacciarsi. L’acquisizione di una coscienza e la successiva consapevolezza della stessa diventano fondamentali nel passaggio all’adolescenza, sono in grado di offrire sicurezza insospettabile e primi passi verso una liberazione cosciente da impostazioni e luoghi comuni, una libertà critica tutta da costruire che trova anche nella memoria fondamenta sicure da cui partire.
Claudia Durastanti ricorda di aver scoperto di essere femminista una volta acquisita coscienza di essere una bambina, figlia di una madre che alla lettura delle favole della buonanotte preferiva prepararla contro gli abusi a cui avrebbe rischiato di sottostare, come nelle favole dei fratelli Grimm o nella Bella Addormentata. Anche nel ricordo di Giulia Gianni gli stereotipi favolistici di personaggi come Biancaneve e Cenerentola sono stati il dubbio da cui sono scaturite domande sul perché tutti gli eroi dei libri sono maschi mentre, nelle migliori delle ipotesi – quando non siano costrette ai lavori domestici per nani e padroni –, le femmine attendono passivamente in una torre che qualcuno arrivi a salvarle.
Questi primi interrogativi portano ad altri due tra i tanti aspetti affrontati nel libro da più di un’autrice: l’importanza del linguaggio e l’influenza della scrittura sul pensiero.
«Non so dirti esattamente quando, ma a un certo punto mi sono ritrovata a combattere con le parole», scrive Marchetta nella prefazione riferendosi proprio alla difficoltà di scoprire attorno a sé un linguaggio consolidato da secoli che ha contribuito a consentire la differenza di trattamento tra uomini e donne: «Insomma le parole intorno dettavano legge: ci spiegavano cosa era giusto fare o evitare, come dovevamo comportarci, cosa dovevamo dire; proprio come quando ero bambina, descrivevano ancora un mondo solo che questo mondo non coincideva più col mio o con quello che avrei voluto abitare.»
L’esistenza stessa di termini offensivi declinati solo al femminile, la mancanza del genere femminile per le parole che individuano alcune professioni, le frasi di recriminazione che sembrano esistere per le sole donne: ogni parola, ogni frase, ogni lacuna presuppone e trascina dietro di sé un mondo di pregiudizio e di ingiustizia radicati, un incasellamento delle convenzioni e dei ruoli familiari e sociali che solo una battaglia costante e quotidiana può riuscire a scardinare.
Inoltre, perché la maggior parte degli autori e degli artisti studiati a scuola è uomo? Dove sono le autrici, le artiste, perché non se ne parla, non se ne sente la voce? Perché non si insegna il loro pensiero, non si condividono le loro idee? Ogni contributo dell’antologia racchiude consigli da cui partire, spunti per contrastare il maschilismo letterario invitandoci a conoscere scrittrici, poetesse, e personaggi delle serie tv. In ogni campo e in ogni forma di arte ci sono state e ci sono donne che hanno avuto il coraggio di parlare e di raccontarsi. Per una ragazza che si avvicina al femminismo o che si trova semplicemente confusa di fronte ai primi pregiudizi sessisti o sociali, c’è un’altra ragazza che da qualche altra parte ha già detto qualcosa anche per lei. Sono le parole di Virginia Woolf e di Simone De Beauvoir, di Lucia Berlin e Joan Didion, di Grace Paley, Irène Némirovsky, Susan Sontag e Clarice Lispector. Sono le vite stesse di Nola Darling e di Mrs. Maisel, di tutti i personaggi di Margaret Atwood e della serie Big Little Lies, che per Marina Pierri – giornalista che scrive di musica, libri e serie tv – meritano una menzione d’onore.
E sono le ragazze stesse di questo libro – o meglio di questo progetto di confronto e di riflessione che ADD propone anche nelle scuole – che creano una sorta di mappa di idee a cui attingere, la cui bellezza sta proprio nella differenza e nella sincerità dei punti di vista.
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