Continuando il suo giro nella fabbrica, l’uomo ha trovato un tale sollievo perverso strofinandosi un punto sull’avambraccio, particolarmente interessato, che gli occhi gli si sono sollevati in alto inumidendosi e la sua bocca gli si è spalancata, lasciando che una riga di saliva si accumulasse sul suo labbro, scorresse giù per il suo mento e sopra la sua barbetta corta e cadesse sopra una pagina sfrecciante contenente il clou di un altro racconto immediatamente prima di entrare nel forno, cuocendo la prova genetica della sua futura malattia cardiaca proprio in questa pagina, che ora stai toccando con le tue mani.
Menzionata tra le dieci migliori raccolte di racconti del decennio secondo Lit Hub, Viscere di Amelia Gray, sceneggiatrice di Maniac e Mr. Robot, è una collezione completa di stili, voci, tormenti e ossessioni, decisamente complessa da discutere nel suo insieme. Pubblicata in Italia da Pidgin nel dicembre 2019, Viscere è un’opera grottesca ricca di umanità, sentimentalismo e violenza, che mescola insieme elementi fiabeschi, di narrativa contemporanea, poesia, fantascienza, thriller e horror. Sarebbe riduttivo cercare di incanalare il perfetto caos surreale creato dall’autrice in un’unica categoria o generalizzare gli innumerevoli argomenti trattati: ogni storia funziona sia come organismo a sé, sia come ingranaggio di un meccanismo più grande e, come suggerisce il bisturi in copertina, è necessario recidere la parte dal tutto per poterla analizzare. Un corpo aperto, vivisezionato, in cui l’autrice si addentra nelle interiora più intime dei propri personaggi.
Cinque sezioni, in totale trentasette racconti, raccolgono l’esercizio frenetico di immaginazione e di stile di Amelia Gray, in un continuo atto di creazione e distruzione in cui la spinta narrativa di una storia viene annullata o intensificata in quella successiva. Alcune storie sono la nemesi l’una dell’altra, dove le premesse allegoriche apparentemente assunte nella prima vengono irrimediabilmente distrutte nella successiva, forse solo per il gusto dell’autrice nel rifiutare una visione unica della realtà.
In “Cinquanta modi per mangiare il tuo amato”, ad esempio, Gray propone un elenco di risposte sempre più raccapriccianti e mortali – ma allo stesso tempo creative e divertenti – alle parole della persona amata, alla sua dolcezza e premura come alle sue mancanze e infedeltà. Ne “Il momento del concepimento” invece una coppia nel proprio nido d’amore, protetta dal mondo esterno da un sentimento che sembra costituire quasi un imperativo categorico kantiano, arriva a compiere un gesto estremo pur di concepire un figlio.
In una raccolta come questa in cui le storie sono molto brevi, i personaggi spesso non hanno nome e il lettore passa da un punto di vista ad un altro in modo quasi schizofrenico, il rischio di cadere nella banalità e rappresentare una serie di eventi senza senso al solo scopo di sconvolgere è molto alto. Eppure Viscere funziona, e anche molto bene: i salti creativi dell’autrice impressionano – nel senso etimologico del termine, lasciano il segno – trasformandosi in scene di violenza catartica o completa dissoluzione delle norme sociali. Come in “Monumento”, ad esempio, dove un gruppo di cittadini con il compito di curare e restaurare il cimitero del paese sposta la propria missione collettiva dal custodire i monumenti alla totale e violenta distruzione di ogni ricordo tangibile delle persone scomparse, quasi a volersi liberare da ogni imposizione sociale.
I racconti più forti sono quelli dove i personaggi sono spinti al limite in situazioni tanto assurde quanto inquietanti, persi ai margini dell’esistenza. Uno di questi è “Cuore della casa”: una coppia decide di pagare una donna perché strisci nei condotti della loro casa, in un gioco erotico perverso fatto di manipolazione e controllo che sfocia in una violenza diversa da quella descritta in altre storie, fatta non di forza brutale, ma di dominazione e potere.
Era diventata silenziosa quando si trovava nelle mie vicinanze. Lo feci presente al mio compagno mentre mi stava imboccando il dessert. Portava alla mia bocca col cucchiaino grossi grumi di fiocchi di latte e disse che era del tutto naturale che la ragazza ora si sentisse a proprio agio con ciò che la circondava. Mi ricordò che erano molti anni che io non sfidavo i limiti della mia vita o che lui non sfidasse i suoi. Anche se ci sentiamo alquanto liberi, osservò, ogni vita ha un muro che la circonda. Mi pulì il mento con un fazzoletto e baciò il fazzoletto.
Anche Jim, protagonista e voce narrante di “Labirinto” – pubblicato nel 2015 sul New Yorker – si trova ad avere a che fare con «un muro che lo circonda», il labirinto di granturco costruito da Dale, dove «nessuno è costretto ad andare se non vuole. Per essere chiari, il labirinto è noto per essere magico. Alcuni dicono che una volta che trovi il centro scopri la cosa che desideri di più al mondo. Altri affermano che Dio sieda oltre l’ultima svolta. Ciascuno deve scoprirlo da sé». Tra tutti solamente Jim decide di entrare nel labirinto, come un moderno Teseo spinto più dalla volontà di non deludere gli altri che dalla sincera propensione alla ricerca del vero.
L’immaginario di Amelia Gray, che in parte abbiamo imparato a conoscere specialmente grazie a Maniac, colpisce dritto allo stomaco, alle Viscere appunto, e lì rimane lasciandoti senza fiato. Le sue storie terrificanti, malinconiche e insieme spassose, ancorano sempre più il lettore alla realtà. Come le fiabe prima di essere edulcorate nel timore che fossero troppo difficili per i bambini, prima del “vissero felici e contenti”, Viscere riprende il potere catartico originale della narrazione e diventa un luogo nel quale sperimentare la paura, il sublime, gli impulsi peggiori dell’essere umano, senza incorrere in pericoli reali. Il terrore fiabesco, che è terrore del mondo, dell’ignoto, della finitezza delle cose, viene portato all’esasperazione in una continua e fallimentare ricerca di senso.
In L’istinto di narrare Jonathan Gotschal sostiene la tesi che sia stata l’attitudine alla narrazione ad aver determinato la sopravvivenza e lo sviluppo della specie umana: «La costante attivazione dei nostri neuroni in risposta a stimoli derivanti dal consumo di finzione narrativa rafforza e ridefinisce le vie neurali che consentono una navigazione competente nei problemi dell’esistenza. In questo senso siamo attratti dalla finzione narrativa non a causa di un’anomalia dell’evoluzione, ma perché la finzione è, nell’insieme, vantaggiosa per noi. Questo perché la vita umana, specialmente la vita sociale, è profondamente complessa e le poste in gioco molto alte. La finzione consente al nostro cervello di fare pratica con le reazioni a quei generi di sfide che sono, e sono sempre state, le più cruciali per il nostro successo come specie».
E così se difficilmente capiterà di trovarsi davanti al cuore pulsante di una balenottera azzurra in mezzo al proprio salotto – come invece accade ai protagonisti de “Il cuore” – chiunque prima o poi dovrà fare i conti con sentimenti ingombranti, dolorosi da affrontare ma impossibili da evitare: «Uno dei bambini a scuola dice Saresti fico se non fossi così stupido, e io penso tipo Sì, questo cuore è la stessa cosa. Siamo scesi al piano di sotto una mattina e lo abbiamo trovato qui, e papà ha detto che, di qualsiasi cuore si trattasse, dovevamo sbarazzarcene».
L’autrice non va incontro a chi spera di trovare soluzioni semplici e immediate in significati simbolici. Offre invece enigmi, attimi inquietanti e rivelazioni tanto fragili quanto illuminanti. Viscere non mette in mostra solo il talento di Amelia Gray, ma suggerisce anche una sorta di fiducia nascosta – o speranza – verso i suoi lettori nel non volersi adagiare, nell’abbandonare la ricerca della consolazione per seguire quella scheggia impazzita che è la sua immaginazione.
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