Posso essere uno stupido felice,
Un prepolitico, un tossicomane,
Un posto dove andare alla moda, quello che si dà nelle storie d’amore,
Quello che si dà perché si ha paura.
Camminare leggero, soddisfatto di me.
Camminare leggero, soddisfatto di me,
Da Reggio a Parma, da Parma a Reggio,
Da Modena a Carpi, da Carpi al Tuwat, da Carpi al Tuwat, da Carpi al Tuwat.
Emilia di notti, dissolversi stupide sparire una ad una,
Impotenti in un posto nuovo dell’ARCI.
Emilia di notti agitate per riempire la vita,
Emilia di notti tranquille in cui seduzione è dormire.
Emilia di notti ricordo senza che torni la felicità,
Emilia di notti d’attesa di non so più quale amor mio che non muore,
E non sei tu, e non sei tu, e non sei tu.
CCCP – Emilia Paranoica
Le origini – Altri libertini
Un pomeriggio del 1978 un giovane studente del DAMS di Bologna porta un dattiloscritto di quattrocento pagine alla casa editrice Feltrinelli. Il suo desiderio è quello di diventare scrittore. Riceve la telefonata di un editor che gli comunica che il libro così com’è non è pubblicabile ma che c’è del potenziale. L’editor propone allo studente di lavorare insieme sul testo. Lo studente rifiuta la proposta. «Il libro mi andava bene così, se non lo volevano me ne sarei andato» [1]. In realtà ci ripensa. E comincia a scrivere. E a riscrivere. A guidarlo in questa operazione di lima sul testo ci sarà l’editor che lo aveva chiamato, Aldo Tagliaferri. Lo zibaldone di quattrocento pagine diventerà così un romanzo a episodi di meno di duecento pagine pubblicato da Feltrinelli con il titolo Altri libertini, lo sconosciuto studente del DAMS è Pier Vittorio Tondelli.
Pier Vittorio Tondelli nasce a Correggio nel 1955 e cresce in una famiglia che lo educa alla religione cattolica. Scopre un’anima da scrittore, gli amici lo chiamano Vicky. «Ho sedici anni e sto male. Sto male l’ho detto molte volte, ci sono cresciuto con quella frase, ho sempre saputo le ragioni del mio star male, era tutto perfettamente chiaro nella mia testolina di quindicenne. Il mio amore frocio, la coscienza di essere artista e di voler fare, scrivere, poetare, ecc». [2]
Allontanandosi dalla provincia, dalla famiglia e dalla religione, si iscrive al DAMS di Bologna e lì vive il ’77 venendo travolto da quell’anno campale in una città che scotta di fermenti culturali, sociali, politici. Si scontra con il suo professore, Umberto Eco, frequenta i collettivi universitari, legge Lotta continua e Re Nudo, ascolta De Gregori e Guccini. Ma la lotta politica non lo interessa. Dirà in una intervista: «Mi sono accorto che non ho sensibilità politica in senso di partito, una visione sui grandi problemi, sui grandi problemi mi commuovo» [3]. Con quel sentimento sta anticipando l’esplodere dei disimpegnati anni Ottanta, che infatti vengono inaugurati dal suo libro di esordio, Altri libertini, pubblicato proprio nel gennaio 1980. Quel volumetto pubblicizzato come un romanzo a episodi è in realtà suddiviso in sei racconti autonomi legati da una forte coerenza interna e da salti di situazioni e personaggi da episodio a episodio.
Si entra nel mondo rovesciato di Altri libertini attraverso le livide luci al neon di un bar di stazione, un posto ristoro popolato da una fauna sgangherata, selvatica, emarginata, un luogo claustrofobico e nauseante. Si esce poi alla fine sull’autostrada «più meravigliosa che c’è» [4], quella del Brennero, una boccata d’aria tra i capannoni e gli autogrill, tra autostoppisti e cinematografari, su verso il Nord Europa, fuori dall’italietta provinciale e soffocante. Tra l’entrata e l’uscita, è tutto un susseguirsi di un carnevale sfrenato e a tratti malinconico.
Le storie che si susseguono come impresse in una pellicola cinematografica sono sei, e innumerevoli i personaggi e le situazioni. L’amore, l’amicizia, la solitudine sono fili rossi in una trama piena di sesso, droga e musica, viaggi in paesi stranieri e viaggi nei cessi delle stazioni, dosi iniettate in vene improbabili, suicidi e tentativi di suicidi, perché non ce la si fa più, a vent’anni non si vuole e non si può più vivere, e poi vita che va avanti, nonostante lo scoramento, e quindi ancora giri per osterie e circoli ARCI e radio occupate a rovesciare qualsiasi tipo di status quo. I protagonisti sono i giovani libertini che pullulano la provincia emiliana alla fine degli anni ’70, un formicaio in continuo movimento spinto non dalla laboriosità ma dagli istinti, radicato nel territorio mentre cerca una via di fuga. «Nessuno racconta queste nostre storie e io ero innamorato dal fatto di voler raccontare storie del quotidiano» [5].
Postoristoro, Mimi e istrioni, Viaggio, Senso contrario, Altri libertini, Autobahn, questi i titoli dei racconti che si srotolano in una narrazione ritmica da jam session, una lingua che è un patchwork, Tondelli prende dal fumetto e dal cinema, rielabora forestierismi per lo più provenienti dalla letteratura americana, attinge al vasto bacino dialettale del nord Italia, senza disdegnare qualche formula più meridionale. Salta all’occhio in maniera scandalosa un disinvolto uso del turpiloquio oltre che di un vasto repertorio di bestemmie. L’obiettivo è quello di rendere il parlato dei giovani emiliani, ma in questa maniera crea una lingua nuova che si fa prepotentemente padrona del testo diventandone la protagonista.
Lo scandalo della lingua, il processo, la politica
Le situazioni raccontate e il linguaggio con cui vengono raccontate provocano scandalo. Non solo scene esplicite di droga e sesso e per di più omosessuale, ma anche di violenza e prostituzione. Tagliaferri ha giustamente osservato che bisogna ricercare l’origine della «perversione attivata da Tondelli, accolta come intollerabile dai soliti moralisti» [6] non tanto nella rappresentazione esplicita della sessualità e della violenza, ma «nell’invenzione linguistica, che si ritorce contro l’italiano convenzionale per minarne la legittimità e mandare a gambe all’aria l’intero sistema di valori sociali su cui esso si fonda» [7].
E infatti nel marzo 1980 le stampe dell’opera vengono bloccate da un’ordinanza di sequestro emessa dal Procuratore Generale dell’Aquila. L’accusa è quella di oscenità, blasfemia e stimolazione alla depravazione sessuale. Le pagine che avevano provocato una reazione delle autorità erano in particolare quelle presenti nel primo episodio, Postoristoro, in cui viene descritta la scena di una dose di eroina iniettata su un pene in erezione. A difendere casa editrice e autore in tribunale c’è Corrado Costa, poeta del Gruppo 63 e avvocato esperto in materia di libertinaggio e letteratura. Aldo Tagliaferri presenzia accanto a Tondelli, prendendosi la responsabilità riguardo alle sue scelte di editing. Il processo si conclude con l’assoluzione.
La vicenda giudiziaria è in un certo senso una pubblicità per il libro e segnerà inevitabilmente anche la fama dell’autore che verrà avvolto da un’aura di maledizione che poco gli si addice. Tondelli ha sempre negato l’identificazione con i personaggi del suo libro, sottolineando il suo ruolo di osservatore e parlando piuttosto di occasioni autobiografiche [8]. Ci sono infatti degli elementi ricorrenti nei racconti. La grande incubatrice è quella emiliana, ma nello specifico la maggior parte delle vicende si svolgono nella Bologna universitaria e nella zona del reggiano, e in particolare fa spesso capolino la città di Correggio che è anche quella natale di Tondelli. Molti dei personaggi sono inoltre omosessuali, elemento che oltre ad essere autobiografico segna ancora di più la marginalità e l’alterità dei soggetti.
Ma esattamente come quelli eterosessuali, i personaggi gay del libro esibiscono la loro sessualità con nonchalance, si avventurano in creativi tentativi di rimorchio, fanno l’amore, si dedicano canzoni, litigano e si baciano per strada. Possono essere storie di sesso occasionale o storie romantiche, ma non c’è tormento causato dal proprio orientamento sessuale. Sono raccontate in maniera episodica le difficoltà e gli ostacoli sociali che gli omosessuali sono costretti ad affrontare, come in Viaggio, dove il protagonista perde il lavoro e in un’altra occasione viene insultato e picchiato. Ma la prospettiva è molto individualista e personale.
Altri libertini non si carica di alcun messaggio importante. Tondelli lo sviluppa in seno ai collettivi sociali e ai movimenti giovanili della fine degli anni ’70, ma rivendica la sua indipendenza e lo fa con un articolo pubblicato su Lotta Continua il 13 marzo 1980: «Questo è un libro scritto da un isolato, non mi sono mai riconosciuto in grandi spostamenti rivoluzionari. Ho sempre vissuto certe storie in modo laterale, nel senso di stare ai bordi. Questo libro non è a rigore un libro politico, né un libro sulle esperienze del Movimento» [9].
Il sound della pagina emotiva
Massimo D’Alema è ancora segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana quando nel febbraio 1980 nota che il libro di Tondelli è un prodotto sia politico che colto. È politico proprio per la sua assenza di politica, ed è colto perché attinge a tutto un bacino di rimandi di cultura alta e bassa e lo fa con consapevolezza, mettendo in pratica la lezione dei maestri Arbasino, Celati, Kerouac e altri, traslando nella sua narrazione le tecniche cinematografiche, utilizzando il linguaggio fumettistico, citando Dante e Manzoni tramite un’operazione di trasfigurazione pop e riferendosi a un infinito repertorio musicale. Tutto questo anticipa l’esplosione degli anni Ottanta e il postmoderno, è una rivoluzione di nuove tecniche e nuovi intrattenimenti, la narrazione letteraria viene modellata secondo questo cambiamento.
Cinema, fumetto e musica entrano nelle case e nelle vite dei giovani, Tondelli afferra e ricicla citazioni ed elementi incorporandoli nel sound della sua pagina emotiva [10]. In particolare grazie al linguaggio del fumetto l’autore può riprodurre dei suoni nella pagina scritta e contemporaneamente recuperare un mezzo espressivo comunemente considerato di serie B [11] ma che fa parte della cultura di formazione di tutti i suoi coetanei.
Il legame con il fumetto è testimoniato anche dalla grande ammirazione di Tondelli per Andrea Pazienza, con cui stringe tra l’altro negli anni un rapporto di amicizia e che considera un «maestro di contaminazioni e interdisciplinarità, narratore di vite vissute ai margini della società, negli abissi dell’autodistruzione, tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta» [12]. Fumettista e scrittore sono entrambi figli del ’77 bolognese e del DAMS, entrambi riprendono le influenze esterne rielaborandole e piegandole a codici narrativi nuovi ed estremi. Entrambi sono legati a un particolare disimpegno fortemente connesso al tessuto sociale dell’epoca. E non è difficile affiancare alcuni scenari raccontati da Tondelli in Altri libertini a certe tavole di Pazienza. I due artisti sono inoltre legati dalla portata generazionale che ha caratterizzato la loro morte. Pazienza muore nel 1988 probabilmente per overdose, Tondelli si spegne in seguito alle complicazioni dell’AIDS nel 1991.
Modellare la materia letteraria
Ma prima di quei momenti drammatici, molto prima, all’indomani del suo esordio letterario, lo scrittore correggese è sulla cresta dell’onda. Il suo secondo libro, Pao Pao è un romanzo vero e proprio. Pubblicato nel 1982 sempre con la supervisione di Tagliaferri, è la sua ultima opera con Feltrinelli. Tondelli lascia la casa editrice che lo ha lanciato ma con cui ormai ha dei contrasti insanabili, perdendo così a malincuore anche il suo fidato editor. Passa alla Bompiani pubblicando nel 1985 Rimini in cui tuttavia si può notare la dedica ad Aldo Tagliaferri. Il rapporto infatti continua e non potendo più vedersi in casa editrice, i due si incontrano in giro per Milano, tra bar e librerie [13], incontri in cui l’editor continua a dispensare consigli e osservazioni sul nuovo lavoro. Il passaggio di editore segna anche un cambiamento nella produzione letteraria dell’autore. Tondelli sembra voler abbandonare i panni dello scrittore giovane, con questo romanzo cerca di produrre un effetto da best-seller, concentrandosi in particolar modo sull’intreccio e mettendo in secondo piano l’aspetto linguistico [14] che invece aveva caratterizzato in maniera evidente le due precedenti opere.
Il suo legame con le nuove generazioni resta sempre molto forte. Dà il via al progetto Under 25 tramite cui invita i giovani autori a inviare i propri scritti per dare loro risalto, guidandoli nell’esercitazione dello stile, aiutandoli a dare voce alle proprie esperienze. Il lavoro sul testo è un’attività a cui l’autore dà molta importanza, memore di quella sua prima esperienza in cui si era ritrovato a dovere cambiare tutta la sua opera sotto la direzione di Tagliaferri. Come aveva già detto durante un’intervista all’indomani della pubblicazione di Altri libertini, «ho capito che fare lo scrittore vuol dire soprattutto parlare di fatti, non teorizzare. E per di più farsi il culo a scrivere e riscrivere e cambiare e montare. Per me la letteratura è questa gran rottura di palle, che niente ti viene bene al primo tentativo» [15].
Il ruolo dell’editor è quindi indispensabile, non a caso nella vita di Tondelli questa figura è sempre stata centrale. Prima di tutti naturalmente il fidato Aldo Tagliaferri, poi François Wahl, editor della casa editrice francese Seuil. Nei Biglietti agli amici, un libro molto intimo pubblicato nel 1986 eccezionalmente non con Bompiani ma con una piccola casa editrice indipendente bolognese, Baskerville, i primi due biglietti sono dedicati rispettivamente al suo editor italiano e al suo editor francese. Leggendo la corrispondenza intrattenuta negli anni, è chiaro il bisogno di Tondelli di ricevere approvazione da parte dei suoi maestri che talvolta dispensano pareri anche sinceramente negativi.
Un’altra figura sarà centrale nella vita (e nella fine della vita) di Tondelli: Fulvio Panzeri. I due si conoscono nel 1989 e Panzeri è successivamente il suo editor per Un weekend postmoderno – Cronache dagli anni Ottanta pubblicato nel 1990 da Bompiani, un volume che raccoglie una vasta e variegata materia letteraria dell’autore correggese: saggi, cronache, articoli di giornale, reportage, interviste, recensioni, progetti editoriali. C’è la musica, c’è il cinema, ci sono le solite vignette emiliane, c’è l’addio a Pazienza e l’occupazione di Valle Giulia a Roma vista dalla prospettiva ormai adulta, ci sono i giovani, e poi le riflessioni e i rovesciamenti tipici tondelliani. Vi si trovano alcune cose già pubblicate in maniera sparsa su riviste o edizioni varie, altre inedite, tasselli di un coloratissimo puzzle che ritrae l’insieme di quella «carnevalata malinconica e disperata che sono gli anni Ottanta» [16] tramite la visione particolarissima di Tondelli, osservatore attento di quel decennio, di quella sua contemporaneità che andava ad esaurirsi.
Camere separate
Il suo ultimo romanzo, Camere separate, era uscito un anno prima, nel 1989, ed è ancora il risultato degli incontri con Tagliaferri. Si può idealmente tracciare una linea che va da Altri libertini e arriva a Camere separate. Tondelli non ha più ventiquattro anni, adesso è uno scrittore affermato e ha vissuto le sue esperienze di adulto, non vuole più scandalizzare. L’approdo ai trent’anni lo ha avvicinato alla lettura di Ingeborg Bachman, un’autrice che lo segna profondamente e da cui si lascia ispirare. Camere separate racconta l’addio del protagonista, Leo, al compagno venticinquenne, Thomas, ammalatosi di una malattia mortale di cui non si fa mai il nome. Leo ripercorre le tappe della sua vita dall’infanzia in provincia fino ai suoi viaggi in giro per l’Europa, gli incontri, le esperienze, l’amore.
La voce peculiare di Tondelli e il suono unico della sua pagina emotiva sono ben riconoscibili, ma la distanza da Altri libertini è resa palese da un cambiamento di tono. Una vaga malinconia era pure presente in quel primo libro, ma era la malinconia della giovinezza, una insoddisfazione che i protagonisti cercavano di colmare con le dissolutezze che la fine degli anni Settanta poteva offrire. Erano cavalieri arturiani rovesciati, al posto dei cavalli cavalcavano automobili sgangherate, invece che il sacro Graal cercavano il sesso, la droga, il divertimento.
Il protagonista di Camere separate ha un diverso tipo di malinconia, affronta le problematiche del mondo adulto, riflette sulla sua omosessualità, sul rapporto di questa con la religione, ragiona sul suo mestiere di scrittore, elabora il lutto e la solitudine compiendo un personalissimo viaggio interiore. La morte ha adesso il volto del giovane Thomas afflitto da una malattia senza nome che lascia spaesati. Il rapporto con il metafisico è in un certo senso inevitabile. Tondelli in quel periodo si avvicina a un discorso spirituale molto ampio, non legato a nessun credo specifico. Nella sua libreria sono presenti volumi sull’induismo come sull’ebraismo, dichiara in maniera netta di non volere essere collegato a nessuna confessione in particolare.
La tensione al metafisico presente in Camere separate viene spiegata così: «Questo è un romanzo in cui senti il senso religioso, proprio perché il grande dolore per la perdita dell’amante spinge il protagonista verso gli altri nello scoprire quello che unisce nel profondo, la propria interiorità a quella degli altri. Ho voluto dire che bisogna passare attraverso uno scavo interiore. Molti critici hanno parlato di questo libro come di una confessione: è vero, c’è, ma non in senso cattolico per liberarsi o per arrivare all’assoluzione di qualcosa, ma per giungere alla scoperta delle motivazioni profonde, certamente, della colpa, ma anche di tutto il bene che è dentro di noi, nella nostra storia». [17]
Nel romanzo non si fa alcun cenno all’AIDS, ma è abbastanza chiaro che è questo il male senza nome che colpisce il personaggio di Thomas. La fine degli anni Ottanta è segnata drammaticamente dall’esplosione della malattia e l’autore costruisce un romanzo attorno a questa grande omissione. Perché nessuno in quel periodo sa come trattarla, come pensarla, miete vittime nella comunità gay e per questo è considerata la malattia degli omosessuali o al massimo dei drogati. Viene associata quindi a un modo di vivere specifico e immorale, a una punizione. Quando nel 1991 Tondelli stesso verrà ricoverato scoprendo la sieropositività, niente sarà più lo stesso per lui.
Le correzioni
Si ritira a Correggio allontanandosi dagli amici, tornando in famiglia, tramutando la sua spiritualità libera in un’adesione assoluta al cattolicesimo. Fulvio Panzeri gli sta accanto, il rapporto tra i due si fa più forte dopo la conversione. Con la supervisione dell’editor comincia un nuovo progetto letterario che non vedrà la fine, Sante messe, ma soprattutto riprende in mano Altri libertini con l’intenzione di approntare «una revisione parziale del testo volta a eliminare gli errori e modificare espressioni lessicali (in particolare le bestemmie) all’interno dei racconti». [18]
Tondelli designa Panzeri erede testamentario di tutta la sua opera. Sarà infatti lui a curare i due grossi volumi editi da Bompiani e accolti nella collana Classici Bompiani dedicati all’intera opera tondelliana, il primo contenente la fiction, il secondo la non-fiction, pubblicati rispettivamente nel 2000 e nel 2001. La versione di Altri libertini rivista e corretta trova posto nel primo volume. Viene quindi pubblicata venti anni dopo la prima uscita per Feltrinelli e nove anni dopo la morte di Tondelli, che si spegne a soli trentasei anni nel dicembre 1991 all’ospedale di Reggio Emilia.
Altri libertini ha segnato la vita dello scrittore e in qualche modo anche la sua morte. Nasce letterariamente con quel libro e muore mentre cerca di porre rimedio alla sua stessa voce giovane. Non è facile affrontare la questione della conversione di Tondelli. Nella storia della letteratura non sono pochi i casi di ripensamenti dovuti a conversioni di fede, si pensi anche soltanto a Torquato Tasso. La questione privata di un autore interessa soltanto se chiarisce determinati punti delle sue operazioni letterarie, e quelle correzioni finali sono indubbiamente interessanti da un punto di vista critico.
Il problema sollevato da molti è che l’edizione che accoglie quella versione rivista non presenta delle annotazioni di natura filologica e critica, il commento di Panzeri spiega unicamente le motivazioni di natura morale che hanno portato l’autore a quella revisione. Bisogna inoltre specificare che Tondelli riesce a mettere mano solo a due racconti su sei e che sono presenti altre modifiche effettuate da Panzeri stesso dopo il drammatico dicembre 1991 secondo quella che l’editor considerava la volontà dell’autore.
Tagliaferri naturalmente non vede positivamente questa operazione di correzione che definisce come un atto di autocensura [19]. Se da un lato riconosce la complessità della questione di fede, dall’altro non riesce a digerire le interferenze esterne che hanno portato alle correzioni [20]. Per quel linguaggio, per quel testo l’autore era finito alla sbarra degli imputati e Tagliaferri gli era rimasto accanto. E da editor per primo aveva visto del potenziale in un bizzarro dattiloscritto, convincendo il giovane e sconosciuto autore a toccare con mano la natura della sua scrittura, andando a limare e a perfezionare. Al di là della malattia di Tondelli e delle sue ultime convinzioni, per Tagliaferri non sarà stato facile prendere atto di ciò che era diventata l’opera pubblicata nelle edizioni dei Classici Bompiani.
È indubbio che insieme con il peggiorare della malattia cresce dentro l’autore un malessere e un senso di colpa che alimentano il terrore della morte, di quello che lo aspetta dopo. È significativa la trasfigurazione non solo della persona di Tondelli (testimoniata per altro dagli amici che parlano di uno stato mentale alterato dalla malattia), ma anche del suo rapporto con la letteratura, che ha sempre vissuto in maniera viscerale. Tra i suoi ultimi appunti scritti in ospedale è possibile leggerne uno terribile: «È vero. Io ho sempre pensato che la scrittura avrebbe potuto, magari in anni e col lavoro, “salvare” la storia miserrima […] (la mia) in un canto epico [l’espressione «canto epico» è sottolineata]…(un epos). E forse ci sarei riuscito […]. Ma non sarà così. La letteratura non salva, mai». [21] A salvarlo deve essere ora la fede a cui lui si aggrappa in extremis, una religiosità tormentata. È la stessa persona che poco tempo prima aveva scritto in Camere separate: «Io non posso amare la religione del cilicio e della pena. Io vorrei amare la religione della pienezza» [22].
La libertà ideologica
È singolare che dopo averlo sempre considerato blasfemo in vita, la critica letteraria di stampo cattolico si sia molto interessata all’autore correggese dopo la morte, vedendo nelle sue opere una continua ricerca di salvezza cristiana, presente persino nello scandaloso Altri libertini. È una lettura scaturita indubbiamente dalla sua conversione in punto di morte e contro cui si sono levati diversi scudi degli amici storici. Enrico Palandri ha rivendicato la libertà da ogni tipo di etichetta che negli anni la critica ha cercato di affibbiare a Tondelli. Nel dibattito avuto con il gesuita Antonio Spadaro tramite diverse email poi rese pubbliche, Palandri centra un punto importante: «Quello che abbia pensato Pier alla fine della sua vita, la sua conversione, gli sarà utile, nella prospettiva cristiana, di fronte alla morte e della vita ultraterrena. Per la letteratura conta invece tutto il resto della sua vita» [23].
Anche Tagliaferri ci tiene a tirare fuori Tondelli da discorsi troppo polarizzati e da etichette specifiche che non gli rendono giustizia. Ha sottolineato la futilità sia di quelle letture che lo vorrebbero martire e redento, sia di quelle che lo esaltano come un autore maledetto e principe di trasgressione, consigliando invece di tornare a pensarlo per quello che era: un narratore. Tornare dunque a un discorso testuale, un campo che appartiene alla letteratura e non alla ideologia [24]. Sono infatti i suoi testi che continuano a parlare per lui.
La personalità autoriale di Tondelli è stata sempre frantumata in mille pezzi perché di difficile comprensione, di difficile catalogazione. Tondelli l’autore giovane, Tondelli l’autore postmoderno, Tondelli l’autore omosessuale, Tondelli l’autore convertito. Eppure per ogni sua scelta letteraria si trova sempre una prospettiva offerta dalla sua disponibilità a spiegarsi, lasciando aperto lo spiraglio della libera interpretazione ma non quello dei fraintendimenti, anche se frainteso lo sarà comunque.
La solitudine di essere al mondo
Tondelli era un osservatore, immagazzinava ciò che vedeva e sentiva per rielaborare nel suo stile. Faceva del suo tempo una questione interiore, era sinceramente curioso degli stimoli che muovevano l’epoca in cui viveva. «Tondelli sapeva quanti bar ci sono sulla via Emilia tra Reggio e Parma, sapeva di ciò che non si vede e sta lì sotto gli occhi e sapeva raccontarlo» [25], osserva Giovanni Lindo Ferretti, mentre il suo ex compagno dei CCCP Massimo Zamboni sottolinea come l’autore sia stato il primo a rendersi conto che l’Autostrada del Brennero è quella grande arteria che collega Carpi con Berlino, «due caselli di una stessa autostrada casualmente lunga 1.200 Km, ma vicina: il nostro mondo» [26].
Se una costante c’è nella sua opera, è quella del viaggio, della fuga e del ritorno. [27] La provincia è quel luogo odiato da cui scappare per scoprire il mondo e per diventare adulti tramite le esperienze sensoriali e le batoste, gli incontri e le immersioni. È anche il luogo in cui si torna accovacciandosi nel letto di infanzia, cercando quel senso di innocenza perduto, nascondersi dalle difficoltà dell’età adulta che adesso diventano insormontabili e che non possono più essere liquidate con una sbronza o con la speranza in un futuro più roseo. Il futuro è già arrivato. È una camera separata, un giovane amante che muore e a cui si deve dire addio insieme alla propria giovinezza.
L’orizzonte sterminato della pianura emiliana permette di immaginarsi cittadini europei e del mondo, salvo poi ritrovarsi nella stessa osteria tra Carpi e Reggio a osservare la fauna giovanile da fuori, dalla prospettiva ormai lontana dell’età adulta che non ha perso la fascinazione per quel mondo. «Le facce, le corporature, i visi, i gruppi, gli atteggiamenti, le parlate, i gerghi, le musiche erano tornati. Non sarebbero mai più stati la mia vita, ma la mia vita avrebbe sempre fatto riferimento a loro. Per quanto distante mi capiterà di andare, per quanto solitario o in fuga mi accadrà di vivere» [28]. Quando scrive queste parole è il 1990, la fuga si sarebbe conclusa di lì a poco. Avrebbe compiuto il suo ultimo ritorno scoprendo la malattia e riparandosi nella fede, ma in quel momento vaga ancora libero per i locali sperduti nella campagna padana, riflettendo sulla sua scrittura e sul suo vissuto, proiettando un’immagine di sé nel futuro che lascia aperto lo spiraglio al passato.
L’epopea tondelliana non si è conclusa in quel letto di ospedale. Va ancora ricercata nei suoi libri che accompagnano dalle prime ribellioni giovanili fino alle prese di coscienza adulte. Quello che la sua lingua e i suoi racconti tramandano è la separatezza e l’alterità di una voce che ha voluto sempre lavorare sull’emotività della pagina e della scrittura. Tondelli specificava di non essere politico, di non essere ideologico, di non essere religioso. Di non volere appartenere a nient’altro che alla sua scrittura. Il testo emotivo è l’unica via da percorrere perché «è l’unico testo che si può parlare. L’unico che si può cantare e ballare. L’unico che si può dolcemente cullare nella propria gola e fischiettare nel proprio cervello. Il testo emotivo fotte l’inconsolabile solitudine di essere al mondo» [29].
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[1] Pier Vittorio Tondelli, Opere. Romanzi, teatro, racconti, a cura di F. Panzeri, Milano, [Opere I] Bompiani, 2000, pp. 1109-1110.
[2] Ibidem, p. XXXV.
[3] Intervista a Pier Vittorio Tondelli di Nino Orengo, “On the road tra Carpi e Reggio” in Tuttolibri de «La Stampa», 9 febbraio 1980, in Angelo Favaro, Pier Vittorio Tondelli, o la “scrittura delle occasioni autobiografiche”, Edizioni Sinestesie, Avellino 2013, p. 21.
[4] Pier Vittorio Tondelli, Altri libertini, Feltrinelli 2017, p.181.
[5] Intervista a Pier Vittorio Tondelli di Nino Orengo, op. cit., p.23.
[6] Aldo Tagliaferri, Vite separate, in «Il Verri», n.19, 2002, p.100.
[7] Ibidem.
[8] Pier Vittorio Tondelli, Opere I, p.1111.
[9] Ivi, pp.1123-1125.
[10] Eugenio Santangelo, Il comico del confine, su Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli, in Comico Viaggio Identità Limite, Nuovi studi per Tondelli, a cura di Viller Mason, Guaraldi, 2011, p.46.
[11] Erik Bernasconi, Italiano cencioso: interpretazione e altri aspetti di Tondelli libertino, in Studi per Tondelli, Monte Università Parma Editore, Parma 2002, pp.94-95.
[12] Monica Lanzillotta, Monica Lanzillotta, Giganti e cavalieri di strada, Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli, Longo Editore, Ravenna, 2011, p. 14.
[13] Fabrizio Miliucci, Su Tondelli. Un’intervista ad Aldo Tagliaferri, 14 settembre 2017, http://www.leparoleelecose.it/?p=30485.
[14] Alto Tagliaferri, op. cit., p.101.
[15] Pier Vittorio Tondelli, Opere I, Bompiani, 2000, p. 1110.
[16] Pier Vittorio Tondelli, Un weekend postmoderno, Bompiani, 2005, p. 327.
[17] Pier Vittorio Tondelli, Opere. Cronache, saggi, conversazioni, a cura di F. Panzeri, [Opere II], Milano, Bompiani, 2001, p., p.999.
[18] Pier Vittorio Tondelli, Opere I, p. LIII.
[19] Aldo Tagliaferri, op. cit., p.104.
[20] Fabrizio Miliucci, op. cit.
[21] Antonio Spadaro, Lontano dentro se stessi. L’attesa di salvezza in Pier Vittorio Tondelli, Jaca Book, Milano 2002, p. 246.
[22] Pier Vittorio Tondelli, Camere separate, Bompiani, 1994, p.100.
[23] https://boll900.it/numeri/2001-i/W-bol/Tondelli/Tondelli_frame.html
[24] Aldo Tagliaferri, op. cit., p.109.
[25] Giovanni Lindo Ferretti, Tondelli torna a casa?, in «Panta», n. 9, 1992, p.338.
[26]192http://tondelli.comune.correggio.re.it/Database/correggio/tondelli.nsf/4cde79c085bc5503c125684d0047d9a0/4fd4f2cf693c5602c1256c0000571c07/$FILE/massimozamboni.pdf
[27] Alto Tagliaferri, op. cit.
[28] Pier Vittorio Tondelli, Opere II, p.680.
[29] Ivi, p.782.
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↔ In alto: illustrazione © Sofia Figliè. Tecnica digitale. / Per gentile concessione.
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