Sesso più, sesso meno è il terzo romanzo di Mario Fillioley che approda alla casa editrice romana 66thand2nd – nella collana Bookclub – dopo la pubblicazione con Minimum Fax di Lotta di classe e La Sicilia è un’isola per modo di dire. L’autore siracusano ha scritto un romanzo che può essere considerato corale in quanto, nonostante i protagonisti siano principalmente due, diverse sono le voci che concorrono alla costruzione di una narrazione più ampia. Tale costruzione coincide, tra le altre cose, con l’intrecciarsi delle relazioni di coppia – coppie disilluse, coppie da «sesso meno» – che hanno luogo a Siracusa dove il romanzo è ambientato.
Peppe e Arianna si incontrano durante un collegio docenti nella scuola media presso cui lavorano, intrecciano una relazione di «sesso meno» – sesso privo di reale coinvolgimento amoroso – che viene distinto dal «sesso più» e spiegato dall’autore sin nel primo capitolo del libro. Questa distinzione viene espressa dal nostro protagonista e, sebbene sia parte del suo personale modo di percepire le relazioni, permea l’intero romanzo. Per entrare nella questione, il «sesso più» può considerarsi come sesso «pieno di anabolizzanti» – usando le parole di Peppe: «più che un distillato era una specie di sublimazione, tutta una mistura, un impasto, un tentativo di esaltare, tramite aggiunte di questo e di quello, la sapidità di quell’unico ingrediente che avevamo a disposizione, cioè il sesso, che a quel punto, però, era maggiorato di una serie di detonatori che lo facevano esplodere potente come se gli ingredienti fossero stati mille».
Ogni capitolo ci presenta, a partire dal titolo, un nuovo personaggio che oltre al proprio punto di vista sulle varie vicende passionali, farà venir fuori scorci di passato che permetteranno la comprensione delle relazioni fra tutti i comprimari. Oltre ai due già citati ci sono Sergio, professore di educazione fisica nella loro stessa scuola ed ex di Arianna; Brigida, Enzo e Luca che lavorano insieme in una pizzeria a Ortigia; Cristina, ex di Peppe e l’ex marito di Brigida.
Ciò che rende queste distinte voci un vero e proprio coro è principalmente il tono scelto dall’autore, scanzonato ma mai superficiale, con il quale vengono analizzati i loro rapporti. Sono le loro considerazioni più che le loro azioni a restituirci il quadro della storia. Si ha infatti la costante impressione che quello che si sta leggendo, esperito da un personaggio, possa essere capovolto dal successivo. Così quando Sergio dice a Peppe di voler essere vendicato per come è stato trattato da Arianna che «è una stronza, la più stronza di tutte […]», ci si ritrova con un Peppe dubbioso che afferma tra sé:
«E se a provare implicazioni sentimentali fossi io?, mi sono chiesto mentre uscivo da quel collegio docenti, ai primi di settembre. Cosa succederebbe? Che ne sarebbe di me?».
In questo singolare gioco delle parti, inoltre, il tratto caratteriale di uno dei personaggi può anche essere confermato da due angolazioni diverse. Arianna pensa: «Peppe non ha nemmeno la più vaga idea di quanto sia manovrabile. Essendo cretino, si crede una mente superiore, e dunque si espone senza protezioni al morso di chiunque sia davvero intelligente», a questo si potrebbe coerentemente aggiungere il pensiero di Cristina:
«[…] e allora si mette a urlarmi versi del Carducci, sul vespone, col casco, […] una di quelle cose che lo illudono di avere una fragilità superiore dovuta al suo superiore intelletto, ecco perché è tanto suscettibile, tanto scoperto, tanto inerme, quant’è intelligente lui, poverino».
Entrambe le donne vedono in lui una persona che si crede superiore, ma finisce per essere più esposta e attaccabile di quanto egli stesso non creda. Colpisce molto la grande pensosità dei diversi personaggi del romanzo che va però di pari passo con la loro incapacità di comunicare in maniera onesta il proprio sentire. Ognuno tiene all’oscuro il partner circa i propri pensieri e i sentimenti relativi al loro legame, limitandosi così a viverlo senza mai analizzarlo né mettere nulla in prospettiva, in un immanentismo che spinge a credere che non ci sia altro al di là del sesso, quasi rendendo ogni relazione al contempo una relazione non-sentimentale e dunque – usando le categorie di Peppe – di «sesso meno».
Altro ruolo rilevante è quello di Siracusa che fa da sfondo e che sa essere bellissima ed eterea, ma anche somigliare alla «Beirut dopo gli attentati dell’83». Piena di contraddizioni, proprio come Arianna che desidera solo il sesso depotenziato, vuole solo essere desiderata – poco o nulla conta da chi –, ma di fronte alla bellezza della città non riesce a non abbandonarsi ai sentimentalismi:
«Il lungomare, la marina, se ne stanno là di fronte, e nel frattempo i camerieri cominciano ad apparecchiare i tavoli e io mi metto a guardare i gatti che muovono la coda lentamente, […] e mi vengono certi pensieri cupi, però di una cupezza dolce: di colpo si fanno le otto meno venti e dopo un attimo nemmeno te ne accorgi ed è già buio, […] com’è bella la fine delle cose, e come è dolce struggersi per la fine delle cose, penso mentre aspetto».
E dalla stessa bellezza sembra essere beffeggiato Peppe quando, chino su una margherita perché incuriosito dalle sue minuscole dimensioni, si ritrova con un preservativo usato tra le mani, lasciando così venire fuori la sua natura schizzinosa che fa quasi da contraltare alla vista mozzafiato che si scorge dal trampolino sul mare, luogo che si è ritrovato a frequentare diverse volte con le sue amanti grazie anche alle temperature rese possibili dall’antropocene:
«[…] uno scenario che sconfinava dal bello nel sublime apposta per raggiungerti gli occhi e comunicarti un dispaccio di guerra: devi guardare tutto, adesso, subito, perché la sciagura incombe, è imminente, e questo è l’attimo in cui l’Arenella vuole essere immortalata per la foto funebre, l’immagine che vuole sulla tomba […]».
Lo stesso Luca, studente di veterinaria all’università di Messina che lavora come cameriere in pizzeria insieme all’aiutocuoco Enzo, e all’insegnante di tennis Brigida, prova una grande fascinazione per la città e per la collega cinquantenne. L’interesse rivolto a quest’ultima è in effetti più vicino all’eccitazione della sua cavalla, Dolores. Lo studente, infatti, si prende cura, per conto dell’università, della fattrice che, in quanto tale, si abbandona ai propri istinti animaleschi senza la difficoltà che prova Luca tentando di conquistare l’atletica Brigida; lo sguardo rivolto alla collega risulta privo della poesia riservata al tramonto su Siracusa che «sembra ogni volta l’ultimo del pianeta, che i monti si terranno il sole per sempre e non lo restituiranno mai più».
Mario Fillioley, insegnante a Siracusa proprio come i suoi protagonisti, in un’intervista rilasciata a Culturificio, dopo l’uscita di La Sicilia è un’isola per modo di dire (Minimumfax, 2018), oltre a parlare delle sue influenze letterarie e degli altri suoi libri, relativamente all’eventualità di scrivere un romanzo, aveva risposto: «Gli argomenti li ho esauriti, mi sono rimaste le fissazioni. Che in questo momento sono due: i gelati e il maxiprocesso». Sappiamo adesso, a distanza di qualche anno che, pur non parlando di gelati e maxiprocesso, questo romanzo è costellato da fissazioni, quelle dei suoi personaggi.
Con una scrittura che sa adattarsi ai caratteri che vuole svelare, ma sempre riconducibile allo stesso occhio implacabile, pieno di disincantato amore per le incongruenze, che siano esse vere e proprie crepe nel decoro urbano della sua città – che anche nei lavori precedenti ha cercato di spogliare da certi stereotipi – o discrepanze nei pensieri dei suoi personaggi, questo romanzo ci permette di vedere le relazioni nella loro più profonda bizzarria, grazie ai monologhi di cui si compone e che costituiscono un brillante prontuario dell’idillio amoroso quando dello stesso rimane ben poco.
23 Comments