Haley Bennett alle prese con la pica e un ambiente familiare tossico nell’esordio del regista Mirabella-Davis
La pica (o picacismo) è un disturbo alimentare potenzialmente mortale, caratterizzato dall’ingestione continuata nel tempo di sostanze non commestibili, oggetti senza nutrimento, non-cibi.
È questo il mezzo che Carlo Mirabella-Davis utilizza nel suo primo lungometraggio Swallow, per illustrare la ribellione della protagonista Hunter (Haley Bennett) contro una famiglia soffocante, simbolo dell’ambiente patriarcale opprimente in cui è prigioniera. I carcerieri sono il marito Richie (Austin Stowell) e i sui genitori Katherine e Michael Conrad, interpretati da Elisabeth Marvel e David Rasche, eccellenti nella resa di uno snobismo non caricaturale. Hunter è Una donna spinta sull’orlo di una crisi di nervi, che invece di crollare trova uno sfogo catartico nell’ingoiare oggetti non commestibili, perché nonostante il pericolo, come ammetterà alla psichiatra, quello è l’unico momento in cui «sento di avere il controllo».
Il film è stato presentato al Tribeca Film Festival del 2019 dove Haley Bennett ha ricevuto il premio di miglior attrice, ma è uno dei film che più ha risentito dei lockdown di inizio 2020 dato che è uscito nei cinema a marzo di quell’anno. Anche la sceneggiatura è di Mirabella-Davis che ha più volte raccontato come sia stato ispirato dalla storia di sua nonna, casalinga negli anni ’50 che viveva un matrimonio infelice e che aveva sviluppato vari rituali di controllo. Su consiglio dei dottori fu ricoverata in un ospedale psichiatrico dove fu sottoposta a elettroshock, induzioni di coma insulinico e lobotomia. L’obiettivo dichiarato dal regista era di realizzare un film su qualcuno come sua nonna, incasellata in ruoli e aspettative di genere che la società aveva costruito su di lei per renderla un aspetto sussidiario della vita di suo marito. I ruoli e le aspettative di genere sono temi particolarmente importanti per il regista, che ha vissuto e si è identificato come una donna di nome Emma Goldman (in onore a una anarchica del ventesimo secolo) per quattro anni quando era ventenne. «Crescendo sentivo che c’era qualcosa di diverso nell’espressione del mio genere» ha dichiarato, aggiungendo che si sarebbe sentito a suo agio se avesse avuto termini ora in uso come “gender fluid”. Oggi Mirabella-Davis si presenta come un uomo cisgender ma dice di non sapere bene cosa sia al momento, soprattutto dopo la realizzazione di un film come questo.
La pica
Riempire i vuoti della sua vita, realizzarsi portando a compimento qualcosa. Hunter non ha amici, vorrebbe provare a diventare illustratrice ma nessuno la considera un’opzione seria, neanche lei stessa. Anche quando scopre di essere incinta viene subito ridotta a incubatrice del nascituro. Come gli viene suggerito dal libro di autoaiuto regalato dalla suocera: «Ogni giorno cerca di fare qualcosa di imprevedibile. Spingi te stessa a provare cose nuove». Per questo motivo quando inizia a ingoiare oggetti si realizza, si sente capace, e ogni volta che manda giù qualcosa si fa largo sul suo volto un sorriso di soddisfazione. La collezione di oggetti che ha ingerito ed espulso è in bella mostra su un comodino, come i reperti di uno scavo archeologico o i trofei di traguardi raggiunti. I benefici del suo rituale sono immediati, mentre non pensa minimamente ai pericoli per sé o per il feto. Neanche quando l’entità dei danni che si infligge aumenta pensa di fermarsi: passa dalle ferite per una puntina da disegno ingoiata alla lavanda gastrica, arrivando al rischio di soffocamento per aver provato a mandare giù un piccolo cacciavite. Dopo questo episodio la famiglia assume l’infermiere Luay per sorvegliarla, un siriano che inizialmente non capisce la sofferenza di Hunter perché lui ha provato quella della guerra: «Se provi la guerra non ti vengono certi problemi mentali, non hai il tempo di pensare quando ti sparano addosso». Proprio lui però sarà l’unico a entrare in empatia con la donna.
Solo il confronto con il suo padre biologico la porta a una svolta. Un cambiamento che si sente anche nella voce, che il regista ha sempre attribuito a un’idea di Haley Bennett: tenere un tono di voce basso e dimesso all’inizio, fino ad arrivare a un tono di voce fermo e assertivo una volta che Hunter ha finalmente il controllo su quello che gli accade.
La pica può presentarsi con la gravidanza o in periodi di eccessivo stress ma non c’è certezza sulle sue cause. Cosa c’è quindi a monte del disturbo di Hunter?
Può essere identificata una commistione di almeno tre fattori: il suo passato traumatico dà origine al suo sentimento di indesiderabilità, che emerge in modo evidente da una telefonata con la madre in cui le viene detto che non è possibile ospitarla, per lei non c’è posto in casa; la costante solitudine in cui è immersa, tenuta a bada dall’arredamento della casa, dal giardinaggio e da qualche gioco sul telefono, a cui porta un minimo di sollievo perfino la viscida richiesta di un abbraccio da parte di un amico di Richie; la relazione col marito in cui viene sottoposta a continue umiliazioni di varia entità.
Per essere il più preciso possibile sul disturbo della pica, Carlo Mirabella-Davis si è confrontato con la dottoressa Rachel Bryant-Waugh, psicologa clinica specializzata nei disturbi alimentari, che ha creato un case-study come se Hunter fosse una vera paziente.
Un matrimonio soffocante
Nel 2022 per la Merriam-Webster, storica editrice di dizionari della lingua inglese, “gaslighting” è stata la parola dell’anno. Questo termine sta a significare la pratica di mettere in dubbio il senso della realtà di una persona per un proprio vantaggio facendole credere che il suo sentire o le sue reazioni siano sbagliate, manipolarla psicologicamente, spesso per un tempo prolungato.
Questa sembra essere la base del matrimonio tra Hunter e Richie, una relazione di sottomissione univoca in cui la moglie si sente in dovere di ringraziare per qualsiasi cosa, sia con il marito che con la suocera. Hunter viene sopportata perché moglie di Richie, ma soprattutto per essere diventata l’incubatrice della “legacy” dei Conrad. «Guardate, il futuro amministratore delegato dell’azienda si trova proprio qui» dice il patriarca Michael Conrad indicando il ventre di Hunter, una battuta comune se non facesse parte di un pattern di comportamenti adottati da tutta la famiglia che depersonalizza la donna in un veicolo per avere un erede.
Swallow è una storia in cui a una donna viene detto costantemente chi è, cosa vuole e cosa la rende felice. Lei ci crede, ma con il passare del tempo si rende conto che qualcosa non va. Nonostante la pericolosità della pica, questa comunque diventa un catalizzatore che le permette di avviare un cambiamento invece di crollare a causa dell’ambiente costrittivo in cui si trova.
Dire però che Swallow sia a favore o approvi la pica sarebbe un errore. Il disturbo non viene presentato come positivo, anzi le conseguenze sono gravi. Hunter trae gioia dall’ingoiare oggetti ma il beneficio è effimero e soprattutto momentaneo. In questo caso è paragonabile ad altri tipi di dipendenza, con un piacere immediato che svanisce fino al prossimo incontro con l’oggetto della dipendenza. È solo il confronto finale con il proprio passato e la rimozione di sé stessa dall’ambiente tossico del matrimonio che avvia il processo di rinascita di Hunter.
La realizzazione
In più interviste Mirabella-Davis ha citato come influenze film come Jeanne Dielman di Chantal Akerman, Safe di Todd Haynes, Una moglie (A Woman Under the Influence) di Cassavetes, ma ha anche raccontato un aneddoto. Quando era al liceo uno studente di un anno più grande lo invitò a casa dicendogli che doveva assolutamente vedere due film che finirono per vedere uno dopo l’altro: Shining e Akira. Quel ragazzo era Jordan Peele, regista di film come Get Out, Us e Nope. Un’esperienza che gli è servita per riflettere su quanto certe pellicole potessero essere intricate psicologicamente e che ha richiamato, soprattutto per quanto riguarda il film di Stanley Kubrick, per potersi servire di un personaggio supplementare: la casa.
L’abitazione in cui vivono Hunter e Richie, che viene sottolineato più volte come un acquisto dei genitori di lui, è una modernissima casa di vetro immersa nella natura. Sembra un museo in cui esporre la vita perfetta di una casalinga perfetta, un’esposizione da ammirare per la società. Una casa in cui niente si può o si deve nascondere, principio che ricorda le abitazioni di Noi, capolavoro della letteratura distopica di Evgenij Ivanovič Zamjatin. Una casa allestita dalla product designer Erin Magill secondo le scelte che avrebbe dovuto compiere Hunter: l’arredamento della casa e la cura del giardino sono uno dei pochi passatempi della donna. Tuttavia per decidere anche su cose minori come per un tipo di tende o un’aiuola fiorita accanto alla piscina, insignificanti per il marito che non vi presta attenzione, Hunter deve chiedere il parere di Richie più volte per non deluderlo, alla ricerca di uno stile che sia quello che pensa possa far piacere al marito.
Nella prima parte del film troviamo spesso Hunter immersa negli ambienti, ripresa da inquadrature larghe e fisse per sottolineare la sua solitudine e la sua irrilevanza in questo nuovo mondo a cui si deve abituare. Queste riprese contrastano poi con i primi piani che vengono successivamente dedicati a Bennett, soprattutto nei momenti in cui entra in rapporto con gli oggetti da ingoiare.
Emblematica ed esemplificativa è la scena della cena che segue la notizia della gravidanza di Hunter. Una serie di campi medi illustra le interazioni tra i personaggi: i genitori mostrati sempre nella stessa inquadratura mentre Hunter e Richie separatamente. Poi Richie imbarazzato per un aneddoto di infanzia forza la moglie a raccontare un aneddoto che viene bruscamente interrotto dal padre. Qui abbiamo la prima inquadratura dedicata esclusivamente al volto di Bennett. Annoiata, fuori posto, sminuita, Hunter viene ipnotizzata dai cubetti di ghiaccio nel suo bicchiere, e con soddisfazione ne mangia uno dicendo che è «davvero buonissimo». Richie la richiama sottolineando la sua stranezza, ma ormai quello è stato il suo primo passo verso la pica.
A inizio film i personaggi sono immersi nell’estetica di un catalogo d’arredamento rétro, sensazione con la quale la direttrice della fotografia Katelin Arizmendi ha voluto sovrapporre l’ambiente patriarcale degli anni ’50 e la società odierna. Anche i vestiti scelti dalla costumista Liene Dobraja sono uniformi per la casa-prigione di una casalinga di metà anni ‘50 che Haley Bennett incarna alla perfezione. Il film parte con uno stile quasi onirico per evolvere grazie a delle riprese molto più realistiche una volta che l’illusione del perfetto matrimonio si frantuma, testimoniando il percorso di Hunter.