Sono le undici e dieci di sabato 4 maggio 2024, tre giorni fa era il 1 maggio festa dei Lavoratori, la piazza di San Giovanni non è ancora tornata in auge e le persone si sono radunate al Circo Massimo a prendersi un bell’acquazzone. Oggi non piove però, grossi nuvoloni minacciano ombra e nulla più.
Seduta su una delle sediole del Campo Centrale del Foro Italico potrei prendere il telefono per cominciare a scrivere, ma ho preferito tirare fuori il quaderno che mi sono portata e una penna. Non voglio sembrare una di quelle al telefono, anche perché ho pagato per essere qui a vedere. Pagato poco, ma comunque pagato. Non ho neanche intenzione di fare molte foto, perché da uno schermo lo so com’è1Oltretutto da uno schermo, per essere precisi quello del mio televisore, che dista dal divano non più di tre metri, sulla terra rossa, soprattutto sulla terra rossa, la palla non la vedo. Vedo i giocatori muoversi e intuisco con microsecondi di ritardo un out, e a volte non so distinguere perfettamente neanche quale dei due giocatori lo abbia effettivamente commesso. Così cerco gli occhiali, indosso gli occhiali, la situazione non migliora e mi siedo anziché stare sdraiata sul divano. Non è sufficiente e mi sporgo appoggiando i gomiti sulle ginocchia e intrecciando le dita come in una preghiera. Non è sufficiente e mi siedo su uno dei miei pouf piazzandolo a meno di un metro e mezzo. Finalmente vedo la pallina anche sulla terra rossa., ma è di persona che voglio vedere. Non ci sono partite, il torneo deve ancora effettivamente cominciare e oggi è una sessione di training. I due giocatori che entrano in campo sono scortati soltanto dai loro allenatori, che raccattano le palle e parlano ai loro ragazzi dando loro disposizioni che non riesco ad ascoltare.2Non vedo mai controbattere una risposta dei giocatori agli allenatori, che prendono le parole come oro colato o come chi non ascolta. Li interpreto per quello che capisco dal linguaggio di corpo e racchetta – giù le spalle, il back con una precisa inclinazione, il braccio che non tira il dritto lascialo andare come a volo d’angelo.
Sono due ragazzi – giocatori professionisti senza ombra di dubbio -, ma senza ombra di dubbio non teste di serie, che ribattezzo Magliettina Azzurra e Magliettina Rosa. Gli spalti sono vuoti. Dei 10.500 posti ne sono occupati non più di venti da persone sparse nella parte bassa delle tribune in cemento. Visti così, gli spalti su legno lamellare svettanti in alto «sembrano ergersi quasi in verticale su tutti i lati, così vertiginosamente ripidi da dare l’impressione che il minimo passo falso su uno qualsiasi degli ultimi gradini sarebbe garanzia di una morte ignobile».3Il tennis come esperienza religiosa, David Foster Wallace, Giulio Einaudi Editore, 2012
Ci sono alcuni bambini con berrettini di ogni colore e le immancabili palle da tennis sovradimensionate DUNLOP ATP Official Ball che muovono un po’ di disordine a tutto il geometrico rigore di questa mattina. Ai bambini si aggiungono i tecnici delle riprese che spingono le videocamere come fossero i pesanti carrozzoni dei venditori ambulanti. Piazzano un carrozzone sull’angolo S-E del campo e altri due sul lato E, frontalmente ai due lati del trespolone del Giudice di Sedia. Nel frattempo, Magliettina Azzurra e Magliettina Rosa non si accorgono di niente. Gli allenamenti iniziano con una serie di colpi dal fondo di entrambi i giocatori, che randellano la palla da una parte e dall’altra senza il limite delle linee – né di fondo né laterali. Tirano, tirano forte, tirano come se non ci fosse un domani, botte da orbi. Randellano, sparano, prendono a legnate la palla. Il rumore dei colpi è sordo, forte, si sente anche il riverbero dopo, e dopo STOOOKK si sente anche il DEWNDEWN delle corde. Poi Magliettina Rosa non prende una delle scopettate4Dal mio dialetto scopettate vuol dire dare un colpo di scopetta. Nel mio dialetto la scopetta è un fucile. La Scupittata è uno sparo. che tira Magliettina Azzurra e finisce sul pannello della tribuna N, tra la scritta BNL BNP PARIBAS e le ali azzurre e bianche del logo della BMW. E lì fa SDUUUM.
Io sono seduta nella tribuna Settore 1 a O dell’impianto, mi sembra la mia unica occasione per stare così vicino al campo, vederla da vicino la terra che si sfalda sotto i piedi dei giocatori e al colpo delle palline, senza spendere cifre fuori dalla mia portata. Ma il Settore 1 è sul lato lungo del campo e anche se mi piace l’idea di oscillare la testa di qua e di là seguendo i colpi dopo un po’ mi stanco. Mi sposto. Ora sono al Settore 3, lato corto a S del campo. Sopra il settore 3 si trovano le telecamere che hanno già montato e sono quelle che mostrano il campo come lo conosco io, dalla visuale che preferisco vedere in tv.5Invece che quelle inquadrature ad altezza uomo – quando l’uomo è un tennista e mi mette alla sua altezza e allora il gioco mi sembra impossibile, difficilissimo, il campo sterminato, l’equilibrio dei punti in un bilico tenuto dal fato e da nient’altro – perché da quel punto di vista ti accorgi che solo esseri superiori possono decidere un angolo di direzione di una palla a 200 km orari. Il rettangolo è deformato il giusto, i 23,77 m si sentono tutti, Magliettina Rosa è davvero lontano da me e da Magliettina Azzurra.6E si ha chiara la percezione della solitudine del tennista, pianta mille volte da Andre Agassi nel suo libro Open. Arriva un colpo anche ad uno degli operatori che stanno montando sulle telecamere dei pannelli di protezione alla base per prevenire i colpi alle caviglie e alle caviglie viene preso l’operatore, che non fa una piega. Come tutte le maestranze – quelle del teatro ad esempio – è un uomo nerboruto dall’aspetto pratico e astioso, della palla sparata addosso non ha voglia di curarsi, neanche il solletico gli ha fatto. Mentre mi spostavo di settore Magliettine Rosa e Azzurra hanno cominciato con i passanti, che sono uno dei miracoli del tennis. Anni fa andai ad un mondiale di nuoto a vedere i tuffi dalla piattaforma di 10 m.7Ero una fan di Aleksandr Dobroskok e di Dmitrij Sautin – La Mosca e Lo Zar. Erano campioni assoluti del sincro dal trampolino di 3 metri, ma avevo trovato i biglietti solo per la piattaforma da 10. Di Sautin amavo lo status di sopravvissuto – non il banale underdog – ma sopravvissuto vero, a delle coltellate ad una fermata dell’autobus a 17 anni. Ad ogni carpiato indietro, avevo la certezza, tutte le volte tutte, che si sarebbero spaccati la nuca sullo spigolo della piattaforma di cemento. Sussultavo sapendo che quella era la volta – di tutte le volte – che avrei visto il tuffatore cascare a peso morto nell’acqua. Così come ad ogni tiro di Magliettine A & R pensavo che il passante finisse a rete. E invece no. Qualcuno, ogni tanto, ma la maggior parte frusciavano sopra la rete, dritto per dritto, ad una velocità mai vista su una palla pelosa e gialla.
Accanto a me è arrivata una famiglia, una di quelle che io amo molto, dove papà è bello, mamma è bella e i figli sono maschi e tre. Sembra una combinazione a caso ma non lo è, mi piace proprio quando i figli sono maschi e almeno tre8mi piace anche se non sono belli né mamma né papà. Forse perché a casa mia siamo due e femmine, e non rimpiango niente e viva il cielo sia così, ma mi piace immaginare la vita di squadra in quella casa. La mamma rimane in alto alla tribuna, nel corridoio all’ingresso sopra il Settore 3, il figlio grande, ma piccolo lo stesso, avrà cinque anni, scende i gradini scoscesi uno ad uno, non perde di vista i piedi ma non si regge, si affida al suo equilibrio; il fratello poco più piccolo invece è dietro il papà che imbraccia tutte e due le manine del più piccolo ancora, che credo abbia cominciato a camminare ieri, e che pensa di fare le scale, ma in realtà è il papà che lo solleva e gli fa toccare un gradino dopo l’altro. Quando il grande arriva al termine delle scale e si appoggia al parapetto si accorge che è troppo basso e non vede, il papà si siede con gli altri due – uno in braccio e l’altro di fianco, in seconda fila; dopo aver provato ad alzarsi sulle punte, il grande si volta in alto verso la mamma e sventolando la mano dall’alto in basso le chiede di scendere anche lei. La mamma però risponde con un saluto. Ciao. Il bambino si ingegna e raggiunge fratelli e papà, sale in piedi sulla sedia e finalmente vede. Vede Magliettina Rosa e Magliettina Azzurra che adesso sono passati agli smash. Uno imprime alla palla un’iperbole alta e l’altro schiaccia lo schiaffo al volo, la palla torna indietro ma il rimbalzo è altissimo e così è un’altra la palla che verrà lanciata, quella nella tasca di chi tira l’iperbole. Gli allenatori nel frattempo raccolgono e rilanciano quelle raccolte al fondo del campo e che prego fortemente arrivino sempre nel fondo del campo perché se superano il parapetto mi arrivano in faccia o peggio – peggio cioè a portata di mano e io non riuscirò mai a prenderla al volo. Se mi arriva in faccia almeno gli farò pena. A questo penso quando il bambino si volta verso papà bello e gli chiede: «È lui Nadal?», e io penso a quanto è dolce e quanto è ingenuo questo piccolo bambino, non lo sa che oggi a questo prezzo ci sono solo Magliettina Azzurra e Magliettina Rosa? E papà bello gli risponde: «No, amore, Nadal è oggi pomeriggio».
Nella mia vita c’è traccia di tennis: ci sono i poster di Sampras e di Agassi nella cameretta che dividevo con i miei fratelli, c’è il nome del nemico numero uno nei tornei al Tennis Green Club e in giro per la Sicilia: Vespertino9Che ho memoria fosse un vecchio che sfidava dei ragazzini e probabilmente aveva sì e no trent’anni. Ho anche fatto un moderato tifo per Federer – quando scegliere da che parte stare voleva dire essere in grado di prendere posizione anche tra Achille ed Ettore. Poi il tennis è sparito, anche perché è sparito mio fratello, e la perdita la avvertivo più forte se non potevo condividere con lui l’ascesa di Djokovic.
Controllo il sito degli Internazionali e papà bello ha detto il vero: Nadal si allenerà alle 17. È quasi mezzogiorno, ma cos’altro ho da fare? Pochi giorni fa, seduta sul pouf ad un metro e mezzo dalla tv, l’ho visto giocare a Madrid con Lehečka e perdere con quel ragazzo cresciuto con il suo poster in camera. Ho visto come lo hanno osannato, celebrato, accomiatato con vero cordoglio. L’ho visto mentre vedeva celebrarsi il suo funerale. Lo avevo pensato anche alla Laver Cup del 2022 quando toccò a Federer vivere quello che segretamente ognuno di noi vorrebbe vivere: il proprio funerale. Vedere le lacrime, accertarsi il dolore degli altri che ci perdono come termometro dell’amore che abbiamo avuto in vita – quante saranno le persone che soffriranno quando non ci saremo più? Quanto ci amano le persone? E ad essere un Mito e non una persona hai anche questo vantaggio. Solo che Nadal mi sembra invece che non ne sia molto contento. Dal suo ritorno sul campo sembrano tutti scontenti che non si sia lasciato piangere in santa pace10Come se tornando a casa dal nostro funerale le persone che continuano a riunirsi per il dolore della nostra perdita ci trovassero lì a guardare la televisione. Dopo essersi terrorizzati del fantasma e accertato che in realtà non eravamo morti ce la perdonerebbero? e quindi lo piangono e lo celebrano lo stesso come morto. Mentre lui vuole solo giocare a tennis. Non entro nella querelle perché non ne ho nessuna capacità – trovo interessante però che il peso della storia storpia talmente la vita di una persona che Nadal è costretto a dover prendere le distanze dai suoi capelli lunghi e unti e dalla sua canotta smanicata perché quel ragazzotto non lo fa giocare a tennis adesso che i capelli si sono accorciati (e diradati) e le maniche sono cresciute a mezzo bicipite.
Magliettina Azzurra e Magliettina Rosa dopo essere passati alle volée a rete adesso sono al servizio. La provano centrale sulla linea di battuta e ad uscire laterale. Uno degli allenatori mette due tubi delle palline nel punto esatto dove deve arrivare il colpo – e dai e dai alla fine con un servizio ad uscire Magliettina Rosa riesce a beccarlo il tubo e a farlo caracollare. A parte il funerale di Nadal, Madrid è stata una strage. Domani Auger-Aliassime giocherà la finale non avendo giocato né il quarto di finale né la semifinale. Alla semifinale aveva incontrato Lehečka, che dopo aver battuto il Morto-Vivo Nadal, era riuscito a passare il quarto di finale perché Medvedev per un problema agli adduttori, si era ritirato durante la partita, ma alla semifinale con il canadese aveva abbandonato lui, Lehečka, per uno strappo alla schiena. Auger-Aliassime a sua volta aveva saltato i quarti perché si era rotto anche Sinner. Oh, l’ho detto. Jannik Sinner. Sarei adesso qui se non ci fosse stato Jannik Sinner?
L’effetto Sinner ha chiamato il tutto esaurito e i milioni di milioni di questa edizione degli Internazionali di tennis di Roma – ci sono cascata anche io? Sì. Pace. Sempre meglio che cominciare a farsi di eroina negli anni ’70 perché ne girava tanta. Non so se mi spiego. La verità è che mia madre non ha mai smesso di seguirlo il tennis e che a novembre la mia scuola è stata occupata dai miei studenti. Durante la settimana dell’occupazione c’erano le ATP Final a Torino e quindi mi sono riavvicinata vedendo il top della gamma, è stato facile appassionarsi, come barare, e sì c’era anche Sinner che è italiano11C’è in più il noto garbo e la nota gentilezza dell’Altoatesino, come lo chiamano, e il fatto che garbo e gentilezza in un momento di sgarbo e volgarità sono merce rara., ma non è per questo che ci sono cascata. Il fatto è che da quel momento ad ogni partita di ogni torneo io e mia madre ci scambiamo un numero imbarazzante di messaggi e ci facciamo compagnia anche da lontano. E poi i tornei sono tanti e quelli dall’altra parte del mondo sono i miei preferiti perché il fuso orario mi permette le sveglie di notte come si fa solo con i mondiali di calcio (ogni 4 anni e quando sono dall’altra parte del mondo). Sveglia alle 02:00, turutù, messaggio di mamma «Ci sei? Ti sei svegliata?». E non mi sveglio solo per Sinner, ma anche per quasi tutti gli altri delle ATP Final – Alcaraz in testa perché per colori, brufoli e rovescio somiglia a mio fratello.
Magliettina Azzurra e Magliettina Rosa, adesso che manca un quarto d’ora alla fine dell’allenamento, giocano un paio di game. Servizio Magliettina Azzurra, prima fuori. Seconda, Magliettina Rosa risponde centrale, Magliettina Azzurra pure, vanno avanti così un paio di colpi ancora, provano ad angolare, poi Magliettina Azzurra prova il passante: rete.12Che detta così sembra goal e invece è il contrario.Un ragazzo come fosse un bue di un aratro trascina un palo tenuto in orizzontale e al quale è attaccata una maglia che sembra una rete da pesca. Inizia a lato di una metà campo e poi procedendo da una parte all’altra, come un serpetone, pettina la terra. Sulla linea di fondo, prima che arrivi l’aratro, luogo di stazionamento del tennista, dove la bucano con scivolate e atterraggi, un uomo più maturo del ragazzo – e trovo di doverlo sottolineare perché compie un lavoro per il quale pare occorra esperienza – con un rastrello piatto, o una sorta di sarchiatore, sposta la terra ammonticchiata, la accumula e la ridistribuisce dove è scavata, e in un modo che ricorda la pittura per velature.Dopo le ATP Finals di Torino ho letto tutto quello che David Foster Wallace ha scritto sul tennis.[ref]Infinite Jest lo tengo per questa estate perché ho bisogno di pace per affrontare quasi 400 note a piè di pagina Porto con me la religione Federer, il piano inclinato e il vento del Midwest e il concetto che la differenza tra il tennis visto in tv e quello visto di persona è la differenza che passa tra vedere un film porno e fare sesso. Il consiglio poi era di andare a vedere gli allenamenti o le qualificazioni di giocatori che non siano teste di serie, cioè professionisti, ma ai quali i bambini con le palle giganti non chiedono l’autografo. Quelli che per principio del sacrificio hanno un’aliquota nulla di popolarità – o quasi nulla. Insomma quelli che ci devono campare con il tennis. Per questo sono qui. Per questo quando papà bello ha detto che Nadal arriverà su questo campo nel pomeriggio ho avuto paura di vanificare la mia missione di oggi al Foro Italico.
Quando Magliettina Rosa e Magliettina Azzurra hanno terminato la partita13non ho avuto modo di contare i punti e non è acceso nulla che lo mostri su uno schermo e nessuno lo scandisce ad alta voce. Non sono neanche sicura lo sappiano loro chi dei due ha vinto, io un tiro di Magliettina Rosa l’ho visto fuori, anche se Azzurra non l’ha chiamata. Per dire che forse non ci tengono si sono ritirati in buon ordine, con i rispettivi allenatori si sono detti ancora qualcosa e sono andati via. Mentre entravano Magliettina Verde e Magliettina Blu Navy per il loro allenamento, sul campo, quello della velocità e delle botte da orbi, accadeva una cosa lentissima e delicatissima: sistemano la terra14Un ragazzo come fosse un bue di un aratro trascina un palo tenuto in orizzontale e al quale è attaccata una maglia che sembra una rete da pesca. Inizia a lato di una metà campo e poi procedendo da una parte all’altra, come un serpentone, pettina la terra. Sulla linea di fondo, prima che arrivi l’aratro, luogo di stazionamento del tennista, dove la bucano con scivolate e atterraggi, un uomo più maturo del ragazzo – e trovo di doverlo sottolineare perché compie un lavoro per il quale pare occorra esperienza – con un rastrello piatto, o una sorta di sarchiatore, sposta la terra ammonticchiata, la accumula e la ridistribuisce dove è scavata, e in un modo che ricorda la pittura per velature.. A questo punto esco un momento, passeggio per il Foro Italico passando per l’ex Stadio della Pallacorda, ora dedicato a Pietrangeli – anche lui non morto ancora – dove Brancaccio e Picchione giocano le pre-qualificazioni15Picchione ottiene una wild card dopo tre ore di partita 6-2 6-7(3) 6-3, e lo fanno con il sottofondo dell’altissimo volume di uno show che alcuni Vip stanno tenendo giocando a tennis con alcuni tennisti professionisti e rinomati nella Gran Stand Arena a poca distanza da lì.16Penso alle teste di serie che si fermano dal giocare se qualcuno nel pubblico ha la tosse Arrivo fino all’ultimo campo di allenamenti e torno indietro, stavolta guardo dall’altra parte del vialone, dalla parte degli sponsor, dei gadget, del cibo. La gente in effetti sta tutta mangiando qualcosa e accanto agli stand che vendono hot dog e hamburger – come fossimo in «un torneo USTA»,17Il tennis come esperienza religiosa, David Foster Wallace, Giulio Einaudi Editore, 2012 ce n’è anche uno che fa rosette con il salame e un altro che si chiama Pizza e Mortazza. Nessuno di loro ovviamente scende sotto le 7 euro per l’alimento base che offrono. Sfilo accanto a tutti i partner del torneo: dall’abbigliamento sportivo Joma, i gelati Algida, la pasta Rummo e il provolone Auricchio. Mi avvicino allo stand DUNLOP ATP Official Ball e scommetto su quanto costino le palle dalle diverse dimensioni – non è scritto da nessuna parte se non piccolo piccolo su un cartello sul desk della cassa, per cui sei faccia a faccia con una commessa bellissima e sportivissima e sorridentissima che ti chiede quale vuoi e non se. Compro un Hot dog e un beverone di Coca-Cola – in memoria USTA – e torno al centrale. Vedrò l’allenamento di Cobolli con Ruusuvuori; vedrò l’allenamento di Madison Keys con il suo allenatore, di Martina Trevisan con Levlah Fernandez; vedrò allenarsi la prima tennista araba ad essersi aggiudicata un titolo slam; Ons Jabeur.
E alle 17.30 del pomeriggio, con mezz’ora di ritardo, con gli spalti gremiti di palle DUNLOP ATP Official Ball in un «mare di occhiali da sole e cappellini», e un numero sorprendente di persone che contemporaneamente e nello stesso spazio mangeranno un cornetto Algida; e cinque persone nel campo saranno impegnate ad allineare ortogonalmente i frigoriferi e le panchine e la sediolona del giudice, mentre un ragazzo terrà poggiata sugli avambracci una pila di asciugamani freschi e stirati, portati così a mo’ di dono per tutto il tempo che occorrerà; e la ragazza accanto a me leggerà sul telefonino la notizia del ritiro di Sinner dagli Internazionali di Roma, e lo farà ad alta voce e quella voce si espanderà come un’ola nel pubblico; e il sole mi cuocerà le guance e il naso e gli occhi perché mi tramonterà in faccia; e qualcuno nel pubblico parlerà di morte e qualcun altro d’amore. Vedrò l’allenamento di Rafael Nadal. E non ne dirò una parola perché non sono venuta per lui (non avrei osato tanto). Solo è vivo, e al servizio (centrale sulla linea) il tubo l’ha piegato in due.
Foto di Copertina di Erwan Hesry / Unsplash.
Note
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