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Sulla targa di smalto verde del comune c’è la faccia emaciata di Troisi, col cappello da postino, che porge una lettera a Neruda. In piazza Marina Grande ce n’è un’altra con una foto in cui si vedono Fiorello, Matt Damon e Jude Law che cantano abbracciati ne Il talento di Mr. Ripley. Sono tutti stinti dal sole e dall’aria di mare ma sembrano crederci comunque. Lungo le stradine di Procida, che si aggrovigliano come intestini intorno alle case color pastello, è tutto un fiorire di queste insegne celebrative. C’è il faccione commosso di Alberto Sordi che esce finalmente dall’ex carcere di Torre Murata, la testa riccia della Vanoni che ammicca al giovane Arturo e poi la Loren, Moravia, la Ortese.

Ma oggi, a questa ricca mitologia procidana, sta per aggiungersi un nuovo fatto di cui tutti parleranno per anni. Targa o non targa. 

 

Per il pranzo di ferragosto la famiglia Cuomo e la famiglia Musella hanno praticamente preso possesso di tutta la terrazza del Timone, il loro tavolo corre da un angolo all’altro del rango. Rimangono appena tre o quattro tavolini occupati da coppiette di intrusi che gravitano come pulviscolo stellare intorno al grande asteroide. Zio Mariano siede al centro, un Gesù Cristo grasso, con la pancia rivolta al porto di Marina di Corricella, e tutto converge verso lui. I secchielli del ghiaccio non distano più di un braccio dallo zio, così come i posacenere, il cellulare, i calamari imbuttunati, le alici marinate e tutto il resto delle pietanze unte che brillano e si squagliano sotto il solleone. 

Zio Mariano è il capofamiglia supremo e su questo non si discute. È la sintesi perfetta dei due rami genealogici. Da parte della fu mamma Rosetta Musella ha acquisito una rara concretezza per gli affari, mentre dal vecchio papà Angelino Cuomo, detto O’ Mastro, ha ereditato un impareggiabile talento nei rapporti umani e una certa dolcezza.

Si vede che se la gode la sua tribù. Ne è orgoglioso Mariano. I parenti sono le sue creature, i suoi pulcini, e quando gli si fanno sotto per un consiglio, un favore, una raccomandazione o un prestito, non c’è volta in cui non faccia sfoggio della sua infinita generosità. 

Mentre l’ombra del pergolato gli disegna delle righe sulla pelata, lui se ne sta seduto beatamente senza dire una parola. Osserva i parenti che si scambiano battute e vassoi da un capo all’altro della tavola. Ogni tanto sorride e annuisce, beve un sorso di vino bianco e mette un braccio intorno alle spalle del padre che gli siede accanto indossando la sua giacca fresco lana nonostante facciano quaranta gradi. 

La confusione che anima il pranzo monta come un’onda. Insomma, inizia come un bisbiglio ma poi le voci si sommano tra loro, ogni oggetto sul tavolo comincia a far rumore fino a gonfiare l’aria. Quando sembra che tutto debba scoppiare, ecco che invece si placa.

Sono già le due quando un anziano cameriere comincia a servire il tris di primi stando attento a non schizzare le signore. Un ragazzino porta via le bottiglie vuote e rifornisce i cestelli di falanghina ghiacciata. Subito dopo arrivano gli scampi gratinati, le cozze impepate, le spigole e l’insalata di mare, e per un attimo cala il silenzio. Poi tutti si gettano sui piatti. Per un ora non si sente che il masticamento famelico dei parenti, le posate che tintinnano e i telefonini che squillano. 

Alla fine del secondo, Angelino Cuomo spreme un limone nel bicchiere d’acqua e si lava le dita. Qualcuno si allenta la cintura dei pantaloni, qualcuno si sfila le scarpe. I ragazzini giocano con i cellulari in un angolo del tavolo, hanno tutti la cresta come dei piccoli calciatori. 

In tutto ciò Mariano parla pochissimo, beve molto e suda anche di più. Quando fuma, invece, aspira la sigaretta strizzando gli occhi e poi soffia il fumo fuori, verso il cielo, con un lunghissimo sbuffo bianco che ha la forma di una balena.

Sono le quattro quando Gaetano Musella, cugino di Mariano, annuncia la barzelletta sporca. A tavola il santonorè si sfalda piano piano. Gaetano si alza in piedi e comincia a raccontare una storiella in cui ci sono un’africana, un femminiello e un mulo. A questo punto tutti gli occhi sono per lui, anche i ragazzini mollano i cellulari.

La barzelletta non è affatto breve e nessuno l’ha mai sentita prima. Mariano Cuomo sorride a ogni passaggio, ascolta concentrato e manda giù un bicchiere di vino dietro l’altro col mignolo alzato. Il riporto gli si è completamente incollato al cranio e ora sembra più pallido di prima. Ogni volta che il cugino condisce il racconto con qualche parolaccia, Mariano incrocia lo sguardo della figlia sedicenne e annuisce impercettibilmente come per dire: «giusto perché oggi è festa».

Quando Gaetano arriva al punto della storia in cui di notte il femminiello prova a cavalcare l’africana convinto che sia il mulo, sono già le quattro e mezza. Il sole picchia come non mai e nonostante il mare sia a meno di duecento metri nessuna folata sferza la terrazza del Timone, né la fronte di Mariano. 

Gaetano ha un talento eccezionale per le barzellette. Si prende i suoi tempi, le pause giuste e non spreca nemmeno una parola, anzi la carica con tutta la sua gestualità da attore mancato. Ogni volta che mima il mulo, gli occhi quasi gli schizzano fuori dalle orbite e le braccia vanno per conto loro. Sembra Totò.

Intanto gli altri clienti del ristorante sono andati via. Anche i camerieri ascoltano la barzelletta mentre ripiegano le tovaglie. Si capisce che è quasi finita perché Gaetano adesso osserva tutti i parenti uno a uno e si lecca le labbra per non impappinarsi proprio sull’ultima battuta. Il gran finale vede i tre protagonisti che si risvegliano nella stalla dopo una notte tribolata: l’africana davanti, il femminiello in mezzo e il mulo dietro. Tutti scoppiano a ridere, cadono bottiglie e si rovesciano bicchieri. Qualcuno si batte le mani sulle cosce, a qualcun altro manca il fiato. I ragazzini ridono pure se non l’hanno capita. 

Poi però in tutta questa confusione emerge un lamento, come una specie di sirena che fa «paaa-pà, paaa-pà!». È Cinzia, la figlia di Mariano, l’unica a essersi accorta che il padre non ride affatto, anzi se ne sta lì con gli occhi chiusi, il mento sul petto e le ascelle pezzate di sudore. Il viso è bianco come la camicia e il riporto adesso gli copre la guancia destra. Sembra morto, non muove un muscolo e forse neanche respira. Tutti i parenti gli si fanno intorno, Gaetano li allontana per fargli prendere aria:

«Oh, Marià, che è stato? Su bello scetate!» e gli molla due buffetti stando però attento a non mancargli di rispetto.

«Paaa-pà, paaa-pà!».

«Marià, scetate. Basta cazzeggià! Marià, MA-RIA-NO!».

Mariano sembra una statua di sale mentre tutto intorno accade disordinatamente. Qualcuno invoca i santi e piange, qualcuno grida e si fa il segno della croce e qualcuno chiama il 118.

Cinzia prova a toccare il padre con le sue unghie aumentate ma Zia la tiene ferma e se la stringe al petto:

«Paaa-pà, paaa-pà!».

Poi d’un tratto il porticciolo di Corricella comincia a popolarsi di tante barchette rosse. Guida la processione una mezza lancia di legno con a bordo un prete, due chierichetti e una madonna alta quasi due metri, tutta inghirlandata che sembra viva. Per un attimo ci si dimentica dello zio collassato e si ascoltano solo i fedeli al seguito che intonano l’Ave Maria gratia plena. 

C’è quasi pace adesso e uno strano senso di rassegnazione. La darsena è completamente imporporata dai riflessi delle imbarcazioni e la madonna, col suo manto dorato, sembra uno stellone a pelo d’acqua. 

Mentre tutti sono girati verso il porto, Angelino Cuomo, detto O’ Mastro, prende il secchiello del ghiaccio e lo svuota sulla testa del figlio, dopodiché gli assesta due schiaffi con tutta la forza che ha in corpo e anche oltre. 

Passa solo un attimo prima che Mariano si risvegli di soprassalto a bocca aperta e occhi sbarrati. Si sgrulla come un labrador dopo il bagno e ingoia tutta l’aria che può. Fissa tutti quelli che gli stanno intorno e sembra non riconoscerli, poi si gira verso Corricella e guarda la Beata Vergine che brilla e galleggia all’orizzonte. 

Gaetano bacia lo zio e grida:

«Evviva O’ Mastro! Che Dio conservi O’ Mastro!».

E tutti dietro a ruota con gli occhi ancora umidi:

«Evviva Angelino! Evviva O’ Mastro!». 

Mariano è ancora scioccato, per un po’ boccheggia, prova a dire qualcosa ma non emette un suono. Allora Angelino si avvicina al figlio per ascoltare meglio e annuisce.

«Che è stato? Che dice?» chiedono tutti.

Angelino zittisce i parenti e riferisce:

«Ma quale Mastro e Mastro. Dice che è stato nu’ miracolo».

E si gira verso il figlio piangendo.

«Dice che la Madonna l’ha risorto».

La tensione si scioglie in un clamoroso e commosso applauso. Una festa nella festa. 

Da questo preciso momento in poi Mariano non è più semplicemente il capofamiglia. Per i parenti, e tutti gli abitanti di Procida, ora è il miracolato della Madonna. L’uomo risorto.

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↔ In alto: foto di weareaway da Pixabay.