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Una donna di ritorno dal supermercato si imbatte nella scena di un omicidio. Due junkie stanno ritti di fronte al cadavere di un uomo. Sussultando per il terrore, lascia cadere una vaschetta di gelato. Uno dei due uomini si avvicina, raccoglie da terra la vaschetta e la porge con un sorriso alla passante. Negli anni la donna continuerà a rivivere ossessivamente questo incontro mancato con la morte – e, dietro a esso, onnipresente, la più orribile vertigine senza nome che si spalanca quando guardiamo con il distacco del sopravvissuto agli eventi fortuiti che pure compongono il disegno di una vita, la nostra, remota e inaccessibile, come in un’epifania cieca e senza sbocchi.

La scena che ho presentato racchiude l’elemento più sorprendente dei nove racconti contenuti in Orientamento, prima e unica opera dell’americano di origini nicaraguensi Daniel Orozco, proposta da Racconti edizioni nella traduzione di Emanuele Giammarco. La violenza non si limita, come nel più banale registro della cronaca nera, a manifestarsi nelle nostre vite sotto forma di dramma: aspetta ovunque ed è capace di manifestarsi nelle forme più oblique e cangianti, e imprime un’imprevedibile svolta ai destini umani. Le strane parabole tracciate dai personaggi di queste storie obbligano chi legge a dismettere ogni forma di geometria, di disegno, di piano, di orientamento appunto, e a sottoporsi a un sottile quanto pervasivo détournement di ogni previsione e giudizio. «Non lo sai mai dove si annida il pericolo», dichiara a un certo punto un personaggio, in quella che sembra quasi la didascalia dell’intera raccolta.

Orozco, che per quasi tre decenni ha insegnato scrittura creativa all’università dell’Idaho, elude con grande abilità le tecniche principali del genere, grazie a storie dallo sviluppo irregolare e dal passo imprevedibile. E se per il Cortázar delle Lezioni di letteratura il racconto breve assomiglierebbe a una «sfera, la forma geometrica perfetta nel senso che è totalmente chiusa in se stessa e ognuno degli infiniti punti della sua circonferenza è equidistante dall’invisibile punto centrale», nei racconti di Orozco salti temporali, bruschi svolgimenti della trama, l’avvicendarsi rapido di storie spostano continuamente il baricentro della narrazione. Il punto su cui le vicende dei personaggi converge è destinato a slittare lungo una direttrice impazzita, che riflette una visione incerta della realtà, sospesa in un perenne stato di indecidibilità.

L’effetto spiazzante provocato dalla lettura dipende anche dal fatto che ognuno di questi testi ha temi, personaggi e ambientazioni molto vari. La natura composita della raccolta riflette probabilmente la lunga gestazione del libro, che ha impegnato Orozco per oltre vent’anni, dagli anni Novanta fino al 2011, anno della pubblicazione negli Stati Uniti.

Nel racconto che dà il titolo alla raccolta, il narratore, un datore di lavoro cinico ma non privo di un certo humor nero, si rivolge a un nuovo collaboratore mentre lo porta in visita nel nuovo ufficio, il quale progressivamente si rivela essere il contrario di quel che appare. Qui come negli altri racconti, che sia un personaggio interno alle vicende o un abbia un punto di vista estraneo ai fatti, il narratore passa al filo di un’ironia leggera e cinica la realtà, portandone alla luce il nucleo deforme – perfetta, in questo senso, l’illustrazione di Nemo’s scelta come copertina del volume. Sullo sfondo di un ambiente lavorativo asettico e impersonale, tenuto assieme da relazioni umane ipocrite, si apre infatti un mondo fatto di ossessioni, perversioni sadiche e di violenza grottesca. Così ad esempio scopriamo nell’indifferenza generale che uno dei colleghi, Lo Sgozzatore della Moquette, è notoriamente un serial killer – nel mondo di Orozco la grigia vita contemporanea, tratteggiata con notevole accuratezza descrittiva, lascia sempre intravedere un fondo fantastico di violenza morbosa e trattenuta.

Orozco combina così una rappresentazione verosimile della società americana contemporanea, indagata nei suoi aspetti più critici – la rarefazione dei rapporti umani, l’alienazione provocata dalla precarietà e dalla competitività del mercato del lavoro, la violenza domestica e la microcriminalità sono onnipresenti nel libro –, e una fascinazione irresistibile per l’assurdo. Questa combinazione di realismo e narrazione fantasiosa inserisce l’autore in un filone eccezionalmente florido della letteratura americana che va da Hawthorne e Melville (quello di Bartleby) fino a Malamud e Barthelme; forse per questo corre una certa aria di famiglia tra Orozco e una certa linea della narrativa breve italiana sorta attorno alla rivista “Il semplice”, e che ha i suoi maggiori esponenti in Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Daniele Benati, Paolo Nori e Ugo Cornia. Tutti autori che mettono davanti all’esigenza di un intreccio geometricamente ordinato e di personaggi tondi e ben caratterizzati lo scoppio pirotecnico della fantasia, l’improvvisato e l’incongruo.

Anche qui, in Orientamento, l’ironia custodisce al proprio interno la profondità della vertigine, al termine della quale esiste fortissimo un senso di spaesamento e di orrore davanti all’ordinaria insensatezza del mondo. Un momento dopo l’altro, le azioni umane sono sul punto di essere scombinate da un piano ignoto o da forze sconosciute, con effetti che sono di volta in volta drammatici e umoristici, ma sempre velatamente tragicomici. Questa temperatura emotiva che unisce come un’atmosfera monotonale i racconti di Orozco e li rende subito molto riconoscibili raggiunge i suoi risultati più alti in “Il sogno di Somoza”. Il racconto è incentrato sull’assassinio di un dittatore in esilio. Un tempo temuto despota dal pugno di ferro, adesso Chaco – questo il nomignolo attribuitogli dall’amante – vive sotto scorta dei servizi segreti nazionali in una villa del Paraguay, dedito unicamente all’alcol e alla prostituzione. Una mattina la macchina su cui viaggia viene colpita da un colpo di lanciarazzi, inghiottendo nelle fiamme sia Chaco che l’autista. Il resto del racconto prosegue a ritroso, indagando il complotto che ha portato al suo assassinio. La direzione della detection però salta continuamente dal tracciato del verosimile, inanellando una divagazione e un aneddoto dopo l’altro, che anziché sciogliere il segreto del testo – banalmente, perché Chaco muore? – rimandano la soluzione e la comprensione del racconto, che si chiude con due quadretti enigmatici. Uno di essi è un inaspettato cameo di Josef Mengele, il torturatore nazista attivo dal maggio 1943 nel campo di sterminio di Auschwitz. Sfuggito al processo di Norimberga e in cerca dei servizi segreti paraguayani, l’uomo dall’aspetto di un vecchio bonario siede al tavolo di un bar poco lontano dall’esplosione. Beve soddisfatto un crème de cassis assaporando «un che di lontano e familiare»: «l’odore della carne che brucia».

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