Compagnia Extra di Quodlibet è una riserva letteraria dove Ermanno Cavazzoni salvaguarda una tradizione giocosa e ariostesca da tempo a rischio estinzione. La collana è tutta un brulicare di surreale, fantasioso e comico. Nel corso degli anni ha dato ospitalità, fra gli altri, a una banda di formazione celatiana, da Cornia a Cavazzoni stesso, che ha trovato nello spiccato gusto per l’oralità il proprio denominatore comune. Se rileggessimo la storia di questa collana in una qualche chiave specialistica, potremmo alimentare seminari sulla Evoluzione degli stralunati da Malerba ai giorni nostri, seminari che probabilmente sarebbero lì a teorizzare la cronaca di un millennio che è fuggito.
In Ravasio troviamo tragicomico e farsesco in abbondanza, ma poco o nulla della suddetta oralità, anzi, siamo di fronte a una scrittura tesa e cerebrale come poche, una prosa che difatti non lascia requie al lettore. Il suo Sputacchiera emerge dalle morbide coltrici di una generazione di pigiamati e depressi attraverso le pagine di un romanzo (etichetta del tutto inappropriata) carico di satira sferzante: i famosi sdraiati, caricaturizzati da Michele Serra, trovano nella creatura di Ravasio il caustico portavoce di una generazione inebetita dal mantenimento e alienata dal digitale, ma con superpoteri tutti da scoprire, una generazione iper-tutto per la quale il corpo non è nient’altro che una iper-zavorra platonica senza alcuna suggestione orfica che prometta liberazione, e allora vai di metamorfosi come ai bei tempi. Serra e tutti i boomer dell’universo faranno bene a smettere i panni da sciure che si proclamano preoccupate e intanto giudicano, perché Sputacchiera avvisa che di fronte a quella forma di autoricovero che è il ritiro sociale dell’adolescente, o si è capaci di entrare calassianamente nelle pieghe dell’immaginario, oppure si finisce per aggiungere un altro mattone al muro, come chi giudica la musica trap con i parametri di quella rock. «Come la fa sentire questo suo stallo sociale/umano?» è tutto quello che la dottoressa Casoncello, bloccata su categorie novecentesche, sa domandare a Sputacchiera ritrovatosi transessualizzato al risveglio.
Con la stessa scena kafkiana della madre che insiste per voler entrare in camera, Ravasio dà il via a un romanzo che di kafkiano non ha nulla, a partire proprio dalla madre che incarna l’Accettazione. Di Kafka, semmai, a Ravasio interessano i risvolti biografici, come la passione per i raccontini yiddish, confluiti nel corso del novecento nella diaspora letteraria dei disinibiti ebrei newyorkesi, tra cui il Woody Allen che, a quarant’anni dall’Olocausto, può permettersi di fare una battuta sulla Shoah, a dimostrazione della teoria di Ravasio secondo cui il comico non è altro che il tragico in età avanzata. Superati Kafka e Roth, riferimenti a rendere, conviene rivolgere La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera ad altro, perché il libro di Ravasio è più un IperCandide con striature aldonovesche, un conte philosophique dove gli incontri pesano più della trama, dove il parentume, il santone mariano e Guido Coprofago sono filigrane di personaggio utili a far brillare la comicità straniante (la madre è «bipolare monoteista»), iperbolica (la polvere di casa come «allucinazione collettiva» da massaia) e perfino poetica («ischemia sentimentale»).
Che poi, la storia della metamorfosi, estinzione inclusa, è la storia di una civiltà che smette di affidarsi all’illusorietà. Vagheggiata per tutta l’antichità (è per compassione che Atena trasforma Aracne in un ragno) e sperata ancora per tutto il diciottesimo secolo, da quando la rivoluzione tecnologica l’ha resa davvero realizzabile, la metamorfosi ha cominciato ad esser temuta, in un climax del disincanto che passa anche attraverso il terrore kafkiano. In Ovidio troviamo umani mutati in animali, piante, oggetti: che sarà mai risvegliarsi donna?
Guardare dentro l’immaginario di Guglielmo Sputacchiera è un viaggio lancinante, abilmente rallentato dallo slow-motion stilistico di Ravasio, e riflettere sulle sue ischemie sentimentali è un carotaggio sull’identità umana all’epoca del transumanesimo. Sputacchiera è vulvolatra acritico (col desiderio tramutato in compulsione) che non riesce a suturare la ferita con l’altro (la pulsione viene dalla cosa, il desiderio viene dall’altro) con il negazionismo del lacanianesimo.Se la condizione della working class è una galleria di giovani che si trascina anestetizzata tra apericene, social e relazioni difficili (vedi Padovaland, di Miguel Vila), quella della classe intellettuale umanistica fotografata da Ravasio (quanti millenni sono fuggiti dalla spassosa e Meravigliosa vita dei laureati in lettere di Carrera?) non sembra troppo dissimile, in bilico sullo stesso strapiombo della perdita di senso. Forse è giunto il momento di rivalutare i superpoteri dei classici, e in tal caso Sputacchiera può diventare il Birdman letterario.