Nella saga di Harry Potter, un Horcrux è un oggetto che contiene un frammento di anima di un mago. Attraverso un omicidio, o un gesto di massima malvagità, una persona può riuscire a spezzare la propria anima e rinchiuderne una parte dentro un oggetto, solitamente scelto tra quelli con più alto valore affettivo. L’Horcrux serve a restare in vita, seppur al solo livello spirituale, anche nel caso in cui il corpo dovesse venire a mancare. È un lasciapassare verso l’immortalità. Lord Voldemort è stato capace di crearne ben sette, indebolendo e deteriorando progressivamente la propria anima. Lo stesso Harry Potter si scoprirà essere un Horcrux, per quanto involontario.
Anche nel romanzo Amico mio di Gianmarco Perale (NN Editore) il protagonista crea due Horcrux – o almeno, due sono quelli consapevoli. Nessuna magia nera, omicidi o atti sanguinari: qui gli Horcrux nascono da un amore totale e totalizzante, frutto di un sentimento ossessivo.
Ma facciamo un passo indietro.
La voce narrante e protagonista del romanzo è un ragazzino di tredici anni, Tom (Tommaso, per gli adulti. Il nomignolo è già un rimando alla saga di Harry Potter, e al giovane Tom Riddle che passerà poi alla storia come Lord Voldemort). Il suo migliore amico è Poni (all’anagrafe Paride): frequentano la stessa classe, vanno agli allenamenti di calcio insieme, passano i pomeriggi a casa dell’uno o dell’altro a studiare, guardare la tv e mangiare patatine. Sono letteralmente inseparabili.
L’evento che dà il via alla narrazione è un fatto successo all’uscita da scuola. Poni è stato colpito in testa con un righello da Leo Fosco, compagno di classe dei due, e Tom, per difenderlo, ha dato un pugno sul naso a Leo, rompendoglielo all’istante. Un battibecco violento tra ragazzini delle scuole medie (o secondarie di primo grado, come sia chiamano oggi) è il nostro punto di contatto con il mondo di Tom.
Il fatto arriva agli orecchi dei rispettivi genitori, tra non detti e difficoltà comunicative, e poi nell’ufficio del preside. Qui viene presa la fatidica decisione: per evitare problemi in futuro (pare che altri ce ne siano già stati in passato) è meglio che Tom cambi classe. Pace è fatta, tutti felici. Tutti tranne Tom: gli adulti non capiscono che lui ha solo difeso il suo migliore amico Poni; gli adulti non capiscono che è Leo Fosco quello cattivo e violento; gli adulti puniscono lui, che ha fatto l’unica cosa giusta da fare.
E se sugli adulti non può fare più nessun affidamento, cosa ne pensa invece Poni di questa situazione? Da che parte sta? Se è davvero il suo migliore amico, come può accettare le scuse (sicuramente false) di Leo Fosco? Come può accettare che sia Tom l’unico a pagare? Queste domande portano Tom a una ricerca ossessiva di conferme sull’amicizia, sulla fedeltà, sull’amore. A scuola, agli allenamenti di calcio, durante i pomeriggi passati a fare i compiti insieme: il quotidiano si trasforma in una sfida continua, costellata da prove sempre più assillanti che Tom sottopone a Poni, fino al punto di non ritorno, il punto delle decisioni irrevocabili.
La prima cosa che colpisce nel romanzo di Perale è l’amore grezzo che Tom prova per Poni, e la struttura ci guida nell’evoluzione del legame tra i due ragazzi. La prima parte comprende le prime centosessanta pagine. L’evento violento accaduto fuori da scuola crea un’incrinatura nel rapporto tra Tom e Poni. È il sassolino che colpisce il vetro: genera una scheggiatura appena visibile, che però si muove piano e inesorabile, si dirama in direzioni diverse, diventa una crepa sempre più irreparabile nell’amicizia tra i due ragazzini. La seconda parte si sviluppa nelle trenta pagine successive. La crepa è diventata vera e propria spaccatura, irrecuperabile: sentiamo il crack del vetro che si rompe, lasciando Tom da un lato e Poni dall’altro del loro amore assoluto. In mezzo, il vuoto. Tom si sporge e ci guarda dentro, a quel vuoto, alla ricerca di un luogo d’approdo sicuro, al riparo dalla sfiducia che percepisce nel mondo che lo circonda; Poni, seppur implorato dall’amico a non abbandonarlo, non può fare altro che prendere le distanze e desiderare la fuga. La terza parte conclude il romanzo con le ultime cinque pagine. A Tom resta il tempo delle domande, dei se e dei ma, e dell’immaginazione di infiniti mondi possibili.
Oltre che dalla struttura del romanzo, le relazioni sono intessute in maniera precisa da una scrittura fatti quasi esclusivamente di dialoghi – quasi tutti parlati, alcuni scritti, nello stile dei bigliettini che ci passavamo a scuola tra compagni di banco. Dialoghi che sono brevi e asciutti, in pieno stile adolescenziale, e hanno la loro forza maggiore nei non detti: non si contano il numero di «sì» e «no» dati come risposte secche da Tom (soprattutto) e da Poni a domande e conferme esistenziali («Sei mio amico?», «Ti fidi di me?», «Mi hai mai mentito?», «Sei arrabbiato?», «Sicuro?», «Davvero?», «Lo giuri?»). È negli interstizi tra un «sì» e un «no» che sta tutta la poetica dei personaggi del romanzo, e la delicatezza con cui prendono vita nella narrazione.
Nel rapporto tra i due ragazzi si inserisce Leo Fosco: aggressore di Poni e aggredito da Tom, funge da terzo incomodo in una rivisitazione del classico triangolo amoroso formato da lui, lei e l’altra. Ma qui non c’è l’amore annoiato di una coppia adulta sconvolto dal desiderio di un’amante selvaggia. Tutt’altro. Qui l’amore è il sentimento primigenio «che move il sole e l’altre stelle», è l’amicizia debordante di Tom per Poni. E a minarlo, nella mente di Tom, è l’esistenza stessa di Leo Fosco.
Leo è colui che innesca la reazione violenta di Tom, ed è anche colui che inocula il germe della paranoia nel rapporto tra Tom e Poni. Tom non si capacita di come Poni possa credere a Leo e accettare le sue scuse, di come possa continuare a parlarci come se niente fosse, di come possa addirittura invitarlo a casa per la propria festa di compleanno. Leo Fosco è cattivo: questo è il mantra che Tom ripete fino allo sfinimento, con una intensità sempre crescente nel corso della narrazione («Devi credermi che Leo Fosco è cattivo.», «È cattivo. Lo sanno tutti. Anche tu lo sai.», «Leo Fosco è cattivo. Farà qualcosa, prima o poi. Fidati.»).
Nella spirale paranoica dentro cui Tom si lascia risucchiare, che la minaccia di Leo Fosco sia reale o meno perde di importanza. Il ruolo di “antagonista” di Leo diventa funzionale al consolidamento dell’amore tra Tom e Poni: la minaccia esterna deve continuare a esistere per permettere l’elevazione verso un luogo dell’anima in cui Tom possa per sempre prendersi cura di Poni.
Oltre ai ragazzi, però, ci sono gli adulti. Le famiglie di Tom e di Poni, entrambi figli unici, sono famiglie mono-genitoriali. Tom vive con sua madre, che non ha nome: è solo “mamma” per tutto il romanzo, inscindibile dal proprio ruolo – ruolo che non è appiattito sul lato domestico, ma che serve a definire una gerarchia Se c’è una mamma, seppur distratta e comunicativamente carente, deve esserci un figlio, seppur cresciuto troppo in fretta. Poni vive con suo padre, che, al contrario, è (quasi) sempre chiamato per nome, Mimmo, anche dal figlio stesso. Il ruolo genitoriale rimane fluido, va a contaminarsi di volta in volta con quello dell’amico e del confidente, nella costruzione di un rapporto all’apparenza paritario nei confronti dei ragazzi, improntato più sulla fiducia che sull’imposizione.
Lungo il romanzo di Perale si respira una certa irrequietezza giovanile che fa venire in mente le scorribande del giovane Antoine e del suo amico René ne I quattrocento colpi di Truffaut. Questo è un libro che starebbe bene vicino a Misdirection di Lucia Biagi o a La raggia di Mattia Grigolo (tra l’altro, la foto di copertina di Amico mio è proprio di Grigolo): mondi di ragazzini alle prese con istinti contrastanti ma assoluti, dalla necessità di accettazione tra coetanei allo scoramento verso un’età adulta di cui presto entreranno a far parte, passando per un sentimento – l’amore – troppo difficile da capire e da gestire.
È inoltre un romanzo che corre veloce. Grazie ai dialoghi, sì, ma anche per la frenesia di Tom nel voler a tutti costi ripristinare uno status di “migliori amici per sempre” minato da agenti esterni, ma nel quale neanche Poni crede fino in fondo. Nonostante la scorrevolezza della scrittura, la divisione in tre parti è utile a segnalare i punti in cui la lettura chiede di essere interrotta: per riprendere fiato, per metabolizzare il carico emotivo delle azioni di Tom, per predisporre l’animo a quello che gli eventi suggeriscono succederà nella parte successiva.
Ma torniamo alla magia, e agli Horcrux.
Abbiamo detto che sono due gli Horcrux che Tom svelerà di aver creato. Il primo è una fotografia di Poni vestito da pirata, scattata a una festa di carnevale organizzata a casa di Tom quando erano più piccoli (foto che troviamo presente all’interno del libro). Il secondo è una poesia che Tom ha scritto molto tempo prima per Poni, e che troverà il coraggio di leggere all’amico solo quando il loro rapporto sarà ormai compromesso. È una poesia breve, senza rime, in cui dentro c’è tutto l’amore grezzo e incontrollabile provato da Tom. Nessuno dei due Horcrux è frutto di un omicidio o di un atto malvagio – come vorrebbe la tradizione potteriana – ma non c’è dubbio che contengano un frammento dell’anima di Tom: un’anima perdutamente devota all’amico di una vita.
Come raccontato dallo stesso Perale in un’intervista, il romanzo nasconde un terzo Horcrux, di cui Tom è meno consapevole. Si tratta di una fototessera di Leo Fosco rubata da Tom al nemico giurato (anch’essa presente nel libro). In una analogia col mondo di Harry Potter: così come Lord Voldemort, tentando di uccidere Harry, vede la maledizione rimbalzare contro se stesso e spezzare la propria anima, legandone una parte allo stesso Harry e rendendolo un Horcrux a tutti gli effetti, così Tom, spinto dal desiderio rabbioso di distruggere Leo Fosco, resta talmente emotivamente ferito da trasferire inconsciamente un pezzo della propria anima nella fototessera del rivale. È così che un Horcrux rabbioso e inconsapevole completa i due Horcrux generati da un sentimento di amore assoluto.
Alla fine è difficile stilare una lista di buoni e cattivi. In Tom, Poni e i rispettivi genitori convivono luci e ombre, di cui nessuno sembra voler essere consapevole fino in fondo. Il romanzo non vuole suggerire una dinamica da vittima vs carnefice, e non possiamo che essergliene grati. Dopo l’ultima pagina, tutto quello che vorremmo fare è abbracciare Tom e sussurrargli all’orecchio: «non è colpa tua» E, in fondo, va bene così.