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«Un bambino, lo portano per la prima volta al giardino zoologico. Questo bambino sarà chiunque di noi o, inversamente, noi siamo stati questo bambino e ce ne siamo dimenticati. Nel giardino, in quel terribile giardino, il bambino vede animali viventi che mai aveva visto: vede giaguari, avvoltoi, bisonti, e più strano ancora, giraffe. Vede per la prima volta la sfrenata varietà del regno animale, E questo spettacolo, che potrebbe allarmarlo o terrorizzarlo, gli piace; tanto gli piace, che andare al giardino zoologico è, o può sembrare, un divertimento infantile. Come spiegare questo fatto comune e misterioso insieme?»

Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero, Manuale di Zoologia Fantastica, traduzione di Franco Lucentini, Einaudi, Prologo

Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero aprono con queste parole il prologo di Manuale di Zoologia Fantastica, una delle due fonti principali, insieme all’ottocentesco Dizionario Infernale di Collin de Plancy, della Piccola Enciclopedia dei Mostri e delle Creature Fantastiche, pubblicata da 24 Ore Cultura.
Una descrizione che si presterebbe ottimamente a descrivere Orazio Labbate, l’autore del libro (che uscirà il prossimo 13 ottobre) o, forse sarebbe meglio dire, il suo catalogatore creativo: fresco romanziere esordiente con Lo Scuru (Tunué, 2016), Labbate redige una lista composta da cinquanta creature, con la medesima curiosità che spinge un bambino ad avventurarsi nella foresta più oscura.

Esattamente come il suo nume tutelare, quel Borges che si baloccava a errare ramingo per i più intricati sentieri letterari, la cernita dello scrittore mazzarino non risparmia bestiari medievali, racconti del folklore, mitologia classica e testi religiosi; così vicino a draghi e sirene, pagina dopo pagina, scorgiamo il Demone di Dover, il Chupacabra o L’animale sognato da Franz Kafka.

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Non c’è da stupirsi che una simile selezione sia inaugurata dalla figura dell’angelo, citando infatti direttamente la prefazione: «l’etimologia della parola [mostro] deriva da monstrum il quale significa prodigio. Prodigio come segno divino, davanti al quale l’uomo proverà l’orrore, o addirittura l’attrazione».

Il minimo comune denominatore alla base delle voci di quest’enciclopedia è una concezione laica, ma non scettica, dell’immaginario: non vengono posti paletti selettivi o barriere di genere, è vagliato ogni essere che abbia fatto breccia, per una via o per un’altra, nella cultura popolare o nella memoria di una società. I confini geografici, insieme a quelli temporali, si annullano e nel semplice gesto del voltar pagina viaggiamo dall’estremità dell’Etiopia con il melanconico Catoblepa all’antico Giappone con il mitologico Orochi. A conservarsi però è sempre un certo compiacimento aneddotico; scopriamo allora che, qualora ci ritrovassimo in acque orientali, non sarebbe male portarsi dietro qualche cetriolo da offrire a un Kappa per renderlo più mansueto, che se si intende visitare le zone rurali del New Jersey bisogna mettere in conto la possibilità di imbattersi nel singolare Diavolo di Jersey o che Marsia, il satiro musico, ereditò il suo caratteristico flauto direttamente da Atena che, dopo averlo creato, disgustata dal riflesso delle sue guance gonfie mentre lo suonava, se ne liberò bizzosa; non stupitevi nemmeno di veder scomodato un canonizzato poeta quale Giacomo Leopardi, all’interno della la voce dedicata allo zombi:

«Cosa arcana e stupenda / Oggi è la vita al pensier nostro, e tale / Qual de’ vivi al pensiero / L’ignota morte appar. Come da morte / Vivendo
rifuggia, così rifugge / Dalla fiamma vitale / Nostra ignuda natura […] ».

Quella di Labbate è una successione di scatole cinesi in cui si innestano rimandi dentro ad altri rimandi, simili alle sperimentazioni di un bambino alle prese con molteplici pezzi delle costruzioni, per niente intenzionato a rispettare il progetto previsto dalla scatola, propenso piuttosto a dare libera stura al suo estro. Da questo punto di vista si nota una certa affinità con gli spudorati voli pindarici dei trattati medievali, capaci di azzardare ardite connessioni, fra argomenti delle più disparate discipline, senza troppe remore.

L’unico limite delle diverse voci che compongono l’Enciclopedia è paradossalmente imposto proprio da uno dei suoi punti di forza: le illustrazioni. 
Marco Ugoni impreziosisce ogni mostruosa descrizione con figure che a colpo d’occhio possono ricordare proprio le miniature degli antichi bestiari: il pittore stesso, rispondendo con grande gentilezza alle domande poste dalla redazione, ha confermato che la principale fonte d’ispirazione sono state le incisioni medievali, aggiungendo inoltre:

«La base di partenza della lavorazione sono stati i preziosissimi testi di Orazio Labbate, in aggiunta per costruirmi un immaginario facevo ricerche storiche di immagini su precedenti rappresentazioni: pittura, incisioni, scultura. Non per tutti i mostri è stato possibile procedere in questo modo, ad esempio, sul mostro sognato da Kafka non ho trovato alcuna immagine che lo raffigurasse. Dovendo così lavorare seguendo esclusivamente il testo. In tutto questo Orazio Labbate è stato sempre a disposizione, pronto a darmi indicazioni o chiarirmi su eventuali dubbi.»

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Lo stesso Dizionario Infernale caro a Labbate vantava, nella sua sesta e definitiva edizione del 1863, un ricco apparato iconografico che ha contribuito a decretare la fortuna del volume; se da un lato le illustrazioni rappresentano indubbiamente una risorsa per L’Enciclopledia, dall’altro però si configurano come un inevitabile confine. La singolarità del manuale borgesiano era restituita dal fatto che, trovandosi davanti solo a un flusso continuo di minuscole narrazione mascherate da testo descrittivo, si aveva l’impressione di stare leggendo un’antica raccolta di novelle e fole, provenienti da ogni epoca; l’assenza del supporto visivo gioca un ruolo importante, da questo punto di vista, perché lascia alla parola lo spazio per sprigionare l’intrinseco potere espositivo.

Non si vuole alludere al fatto che sarebbe stato preferibile trovarsi tra le mani una sorta di Manuale di Zoologia Fantastica 2.0, piuttosto che l’intento, esposto dallo stesso autore, di restituire «la sensazione di leggere un lungo, e intenso, romanzo gotico» non si realizza completamente proprio a causa delle implicazioni strettamente legate alla presenza di illustrazioni.

«In un bosco sul Rodano, fra Arles e Avignone, c’era a quei tempi un drago, metà bestia e metà pesce, più grande di un bue e più lungo d’un cavallo. E aveva denti acuti come la spada, e corna da ambo i lati, e s’occultava nell’acqua, e scannava i viandanti e affondava le navi. Ed era venuto per il mare di Galazia, ed era nato da Leviatano, crudelissimo serpente d’acqua, e da una bestia chiamata Onagro, cui genera la regione di Galazia…»

Manuale di Zoologia Fantastica

«Attraverso il Libro di Giobbe conosciamo alcune caratteristiche della creatura, le sue fauci sprigionano il fuoco, mentre il suo respiro annienta i carboni. La scia, che il Leviatano lascia, tinge di bianco l’abisso. Inoltre, in Giobbe il mostro è simbolo del potere creazionistico di Dio. In Isaia, invece, il Leviatano è il serpente che rappresenta i nemici di Israele. Serpente che sarà abbattuto da Dio. Nei Commentari, Girolamo afferma che Leviatàn è il drago, il Serpente, invece, Satana. L’Aquinate associa il mostro al vizio diabolico dell’invidia. Giovanni Calvino, riformatore religioso del Cinquecento, dirà, al contrario, che la bestia è la balena, ed è rappresentazione gloriosa della potenza divina.»

Piccola Enciclopedia dei Mostri

Dal confronto diretto tra due voci abbastanza similari dei due bestiari, si nota come il taglio adottato da Labbate (il secondo) sia pensato per sposarsi a un’immagine di completamento, mentre il testo di Borges e Guerrero (il primo) si dimostra, per certi versi, più anarchico, quasi avulso da una qualsiasi struttura; un frammento che potrebbe essere stato sezionato da un racconto orale come da un polveroso libro, rinvenuto per caso su uno scaffale in biblioteca.

Fortunatamente, come già detto, il fascino delle opere di Ugoni non fa rimpiangere la scelta compiuta, e nell’insieme l’amalgama che ne esce, tra testo e immagini, non lascia il lettore insoddisfatto.

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«I bestiari nascono per ingigantire paure. Da piccolo ti dicono di non affacciarti nel pozzo perché sennò ti prende il demone Maranchino. Mio padre mi ha raccontato che fino a poco tempo fa, ma ora non più, riusciva a impaurire il nostro nipotino con i canaglioni, che sono dei grossi cani. Le creature della Cupa restituiscono al mondo un suo mistero, ma hanno anche una funzione sociale. Nel mondo che studiava Ernesto De Martino, dove non c’era lo psicoanalista, il disagio psichico si curava con il mito e le ritualità magiche. Dare un nome ai propri demoni è un modo per cercare di ricomporre le fratture del mondo. A forza di accendere luci sulle cose, abbiamo perso per strada l’immaginazione, la dimensione smisurata delle cose.»

Vinicio Capossela, durante un’intervista tenuta in occasione dell’uscita di Canzoni della Cupa, dà questa risposta, quando gli viene chiesto da cosa scaturisca la sua ossessione per i bestiari; probabilmente si tratta di una descrizione della Piccola Enciclopedia più efficace di tutte le parole spese precedentemente in questo articolo: prima ancora di essere bestiario, variopinta selezione o elaborato divertissement, la Piccola Enciclopedia dei Mostri e delle Creature Fantastiche è una celebrazione delle proprietà deformanti e mutevoli dell’immaginazione, in grado di riflettere il mondo circostante in maniera quando grottesca, quando paurosa, quando semplicemente imprevedibile; la stessa immaginazione che porta quel bambino disperso nella foresta a scambiare due lontani bagliori per gli occhi grifagni di un essere in agguato, nell’oscurità.

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